sabato, Maggio 3, 2025
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La Romania ci riprova dopo il caso Georgescu

AGI – L’adagio è di quelli già sentiti: le elezioni rubate, la voglia di rivalsa, la tirannide di Bruxelles e tutti quei luoghi comuni di cui è infarcita la campagna elettorale dei partiti populisti e/o di estrema destra. Tutti ingredienti ai quali il romeno George Simion ha aggiunto una spezia esotica in più: la promessa di ‘mettere la Romania al primo posto’, che sa di Maga quanto la salsa barbecue sulla grigliata del 4 luglio.

In effetti il favorito alle presidenziali che si celebreranno domenica in Romania si proclama sostenitore di Donald Trump e punta a trasformare le elezioni “rubate” dello scorso anno in una vittoria, incanalando la frustrazione latente per il colpo di spugna con cui la Corte Costituzionale ha annullato la vittoria di un altro leader di estrema destra, Calin Georgescu, e gli ha vietato di ricandidarsi. Vantando un filo diretto con Washington e contando sul suo sostegno, Simion, leader del partito nazionalista AUR, è favorito al primo turno di un’elezione che in Romania è segnata più dalla stanchezza che dalla tensione della competizione. Tuttavia il Paese è a un bivio: il voto di domenica sarà il più importante dal crollo del comunismo.

Il presidente della Romania non ha molti poteri in ambito interno, ma ha una certa autorità in politica estera ed è una figura influente nel Paese. Ora, per la prima volta dal rovesciamento del dittatore Nicolae Ceausescu nel dicembre 1989, un estremista di destra è in testa alla corsa. Ma perché le elezioni sono così importanti? La Romania sta vivendo la guerra in Ucraina più direttamente di qualsiasi altro stato membro dell’Ue: non solo perché condivide con l’Ucraina il confine nazionale più lungo, ma anche perché i razzi sorvolano regolarmente il suo territorio, i droni Shahed si sono schiantati nel Delta del Danubio e deve affrontare frequenti provocazioni russe nel Mar Nero.

Alla luce di tutto ciò, una sola cosa è certa: indipendentemente dall’esito delle elezioni, la Romania si trova ad affrontare un futuro estremamente incerto e difficile. Sembra in parte casuale e in parte inevitabile che la lista dei candidati sia quella attuale. Quando lo scorso novembre Calin Georgescu vinse il primo turno delle elezioni presidenziali, il mondo vide avvicinarsi alla presidenza un esoterista, un teorico della cospirazione, un estremista di destra filo-russo e un apologeta del movimento fascista cristiano ortodosso della Guardia di Ferro, in auge negli anni tra le due guerre. Una delle ragioni principali della sua vittoria era stata l‘uso intelligente dei social, in particolare TikTok, in una società che si è ampiamente sganciata dai media tradizionali. Una ragione più profonda del suo successo è però da ricercare nella frustrazione della società per lo stato del Paese.

La democrazia in Romania è in gran parte dominata da cricche politiche clientelari che si dividono le risorse, controllano la magistratura e altre istituzioni statali e impediscono qualsiasi forma di governo responsabile, orientato al futuro e sostenibile. Tra questi, il Partito Socialdemocratico (PSD) post-comunista che, contrariamente a quanto suggerisce il nome, adotta generalmente posizioni nazionaliste e tradizionaliste. Poi c’è il Partito Nazionale Liberale (PNL), che non ha quasi nulla in comune con il liberalismo politico ed economico nella sua forma classica, e l’Alleanza Democratica degli Ungheresi in Romania (UDMR), degenerata in un partito filo-Viktor Orban. Questi tre partiti governano il Paese in diverse configurazioni da diverso tempo e hanno persino formato una coalizione tripartitica dopo le elezioni parlamentari dello scorso dicembre.

Il sospetto che la Russia si fosse intromessa nelle elezioni di novembre non è stato provato e l’unico reato finora dimostrato è il finanziamento illecito della campagna elettorale. Simion, il più noto estremista di destra rumeno, responsabile di atti di violenza contro la minoranza ungherese in Romania, vorrebbe una Grande Romania che includa la Repubblica di Moldavia e parti dell’Ucraina, tanto che gli è vietato l’ingresso in entrambi Paesi. È arrivato secondo alle elezioni parlamentari dello scorso novembre, ottenendo circa il 18% dei voti. Insieme ad altri due partiti, l’estrema destra rappresenta circa il 35% di tutti i seggi in parlamento, dove negli ultimi anni Simion ha fatto notizia per aver aggredito un ministro e aver minacciato di stuprare un’ex membro del suo movimento.  

Nei suoi video su TikTok e Facebook, usa il linguaggio violento tipico dei criminali di strada romeni. Si sospetta che abbia legami con i servizi segreti e con gli ultranazionalisti russi, tra cui il filosofo di estrema destra e ideologo fascista eurasista Aleksandr Dugin. Per rendersi digeribile a un elettorato più ampio, ha attenuato notevolmente la sua retorica durante questa ultima campagna, presentandosi come un “salvatore della democrazia rumena”. La maggior parte dei sondaggi suggerisce che Simion otterrà ben oltre il 30% dei voti e dietro di lui si danno battaglia Crin Antonescu, ex membro del Partito Nazionale Liberale, e il sindaco di Bucarest, Nicusor Dan.

Antonescu è il candidato congiunto della coalizione tripartitica al governo composta da PSD, PNL e UDMR. Diversi media rumeni lo definiscono ironicamente come “l’uomo del passato che vuole far progredire la Romania”, alludendo al nome della sua alleanza elettorale “Romania Avanti”. Tuttavia, Antonescu rappresenta soprattutto un passato caratterizzato da clientelismo e corruzione. Dan è un candidato indipendente progressista liberale, che si è fatto un nome come attivista nella lotta contro la mafia immobiliare di Bucarest e ha co-fondato il partito di protesta verde-liberale ‘Unione Salviamo la Romania’ (USR).

Dan è un matematico ed è considerato onesto, non corrotto, ma non ha avuto molto successo nel suo ruolo di sindaco della capitale perché si oppone da solo a un sistema potente. A differenza di Antonescu, è a favore del sostegno incondizionato all’Ucraina. Parla con calma e pacatezza ed è considerato un politico equilibrato, razionale e avverso ai conflitti, che affronta i problemi in modo analitico e cerca soluzioni a lungo termine. È considerato un uomo del popolo e cerca attivamente il contatto con i cittadini.

La candidata liberale Elena Lasconi sembra invece non avere alcuna possibilità alle elezioni di domenica, nonostante sia arrivata sorprendentemente seconda al primo turno annullato lo scorso novembre. Da allora ha perso il sostegno del suo partito, l’USR, che ora appoggia Dan. Comunque è improbabile che un presidente venga eletto domenica, perché si prevede che nessuno dei candidati ottenga la maggioranza assoluta richiesta. L’esito è quindi affidato al ballottaggio del 18 maggio. 

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