martedì, Giugno 24, 2025
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Ombre persiane sul vertice Nato, e Rutte smentisce deroghe alla Spagna sulla spesa

AGI – ll vertice della Nato in programma domani e dopodomani a L’Aia avrebbe dovuto lanciare un segnale di unità di fronte a una Russia che rimane, nelle parole del segretario generale Mark Rutte, “la minaccia più diretta e significativa”. Si prevedeva che tutti e 32 i membri si sarebbero impegnati a portare dal 2% al 5% del Pil la spesa in difesa, come richiesto dal presidente Usa, Donald Trump, che in passato ha addirittura evocato un disimpegno di Washington qualora gli alleati avessero continuato a non fare la loro parte in modo adeguato. La vigilia del summit è stata però segnata dall’intervento statunitense nel conflitto tra Israele e Iran e dalle frizioni con la Spagna, che ha contestato con durezza l’obiettivo del 5%, il 3,5% in armamenti e l’1,5% in altre voci relative alla sicurezza, dalle infrastrutture alla cybersecurity.

“Niente atomica per l’Iran, se Mosca attacca risposta devastante”

Nella conferenza stampa introduttiva Rutte ha contestato chi ritiene i raid americani in contrasto con il diritto internazionale e ha sottolineato come tutti gli alleati concordino che Teheran non debba mai e poi mai sviluppare l’arma atomica. In concreto, la crisi in Medio Oriente ha distolto l’attenzione dei media e di molte cancellerie da un vertice chiamato a confermare il “sostegno incrollabile” della Nato a un’Ucraina il cui cammino verso l’adesione è “irreversibile”, ha affermato Rutte, secondo il quale tale posizione sarebbe condivisa anche dagli Stati Uniti.

Da settimane si rincorrono però voci secondo le quali, addirittura, la crisi in Ucraina non sarebbe stata menzionata nella dichiarazione finale su richiesta di Trump, che non vuole irritare la Russia, con la quale Washington cerca un disgelo nell’auspicio di scalfirne la, quantomeno dichiarata, “amicizia senza confini” con la Cina. Eppure, ha annunciato Rutte, i membri della Nato sono in procinto di annunciare un aumento da 20 a 35 miliardi di dollari degli stanziamenti in assistenza militare a Kiev previsti nei prossimi anni, una nuova strategia di difesa che preveda un maggior coordinamento con le industrie nazionali e un aumento pari a cinque volte dei sistemi di difesa aerea dispiegati nel territorio dell’alleanza, allo scopo di prepararsi a un’eventuale aggressione russa che, garantisce Rutte, incontrerebbe una “risposta devastante”. 

Da Madrid una bomba sul vertice

A dominare le discussioni è, però, soprattutto l’ambiguo compromesso raggiunto con Madrid. Il primo ministro spagnolo, Pedro Sanchez, in patria è alle prese con i casi di corruzione che continuano a investire il suo Partito Socialista. I partiti indipendentisti su cui si regge il suo governo di minoranza non sono più disposti a garantirgli i voti e la sinistra radicale di Sumar, sua alleata, ha posto precise condizioni per proseguire la legislatura, tra cui un no all’aumento delle spese militari chiesto dalla Nato.

In questo clima, pochi giorni prima dell’inizio dei lavori, l’inquilino della Moncloa ha sganciato una vera e propria bomba sul summit con una lettera a Rutte nella quale definiva “controproducente” e “irrazionale” il fatidico target del 5%. Rutte ha risposto con una missiva nella quale garantiva a Madrid la flessibilità necessaria.

I dettagli del compromesso non sono chiari e le versioni dei fatti di Madrid e dell’alleanza divergono. Sanchez afferma che Rutte si accontenterebbe, almeno nel medio periodo, di un rispetto degli obiettivi di capacità militare, per i quali il governo spagnolo ritiene sufficiente il 2,1% del Pil. Secondo fonti dell’alleanza, però, a Madrid è stata semplicemente concessa, come a tutti, la libertà di scegliere come giungere a un obiettivo il cui raggiungimento entro il 2035 resta inderogabile.

“La Spagna ritiene di poter raggiungere questi obiettivi con una percentuale del 2,1%”, ha spiegato Rutte in conferenza stampa, “la Nato è assolutamente convinta che la Spagna dovrà spendere complessivamente il 3,5%, quindi ora ogni Paese riferirà periodicamente su ciò che sta facendo in termini di spesa e raggiungimento degli obiettivi. E in ogni caso, ci sarà una revisione nel 2029”.

“Pronti a soffrire e morire insieme”. Ma l’alleanza è davvero compatta?

La mossa di Sanchez sta però già creando un effetto a catena, con Belgio e Slovacchia che hanno già annunciato a loro volta di voler chiedere deroghe. “La Nato non ha alcuna clausola di rinuncia e non conosce accordi collaterali e sottobanco”, ha tuonato Rutte, assicurando che i suoi membri sono tutti pronti a “combattere e, se necessario, soffrire e morire insieme”.

Il pericolo è che gli alleati non mostrino più la compattezza sufficiente nello sposare l’obiettivo del 5% che pure, giura Rutte, vedrebbe l’adesione di tutti nella dichiarazione finale. “Tutti gli alleati, ovviamente, hanno il diritto sovrano e anche la flessibilità di determinare i propri percorsi per rispettare l’impegno della Nato”, ha spiegato l’ex premier olandese, secondo il quale a Madrid sarà semplicemente garantita “la flessibilità necessaria per determinare la propria traiettoria sovrana per raggiungere l’obiettivo di capacità e le risorse annuali necessarie in percentuale del Pil, nonché per presentare i propri piani annuali”.

Zelensky c’è, forfait di Tokyo e Seul 

Sanchez, da parte sua, ha dichiarato che la Spagna spenderà il 2,1% del suo Pil per la difesa, “nè più nè meno”, per rispettare gli impegni di capacità assunti, e ha ribadito che arrivare al 5% sarebbe “sproporzionato, inutile” e incompatibile con le necessità dello stato sociale. Il rischio è irritare un Trump la cui amministrazione non ha mai smesso di stigmatizzare nazioni europee accusati di campare alle spalle dell’America quando si tratta di difesa. La vicenda potrebbe quindi gettare ulteriori ombre su un vertice che parte già con un profilo inferiore al previsto a causa del conflitto in Medio Oriente, che ha ribaltato le priorità di numerosi alleati esterni al blocco.

Alla cena dei leader offerta domani da re Guglielmo Alessandro mancheranno, ad esempio, il primo ministro giapponese, Shigeru Ishiba, e il presidente sudcoreano, Lee Jae-myung. Entrambi hanno spiegato la revoca della loro partecipazione con vaghi comunicati in cui si faceva riferimento a urgenti questioni di politica interna. Di fatto, il rischio che Teheran chiuda lo Stretto di Hormuz, dal quale passano ingenti esportazioni di idrocarburi dirette verso l’Estremo Oriente, ha allarmato Tokyo e Seul, che ora hanno altri dossier su cui concentrarsi. Confermata, invece, la presenza del presidente ucraino, Volodymyr Zelensky.

 

 

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