sabato, Luglio 12, 2025
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I giudici ‘tecnologici’ di Wimbledon non sono piaciuti a tutti i giocatori

AGI – L’edizione in corso di Wimbledon sta segnando un passaggio epocale, ma non senza problemi. Per la prima volta, come noto, tutte le chiamate di linea sono affidate a un sistema elettronico che elimina del tutto i giudici di linea in campo. Un’innovazione che ha portato con sé non pochi intoppi: malfunzionamenti tecnici, errori umani nell’attivazione del sistema e dubbi crescenti sulla sua affidabilità hanno acceso un acceso dibattito tra giocatori, arbitri e organizzatori. La verità è che non tutti i giocatori sono contenti di questa ‘sostituzione’. E per svariati motivi.

Il primo caso eclatante si è verificato durante il match tra Anastasia Pavlyuchenkova e Sonay Kartal. Per un errore umano, il sistema Hawk-Eye è rimasto spento per tre punti consecutivi, lasciando senza chiamata una palla chiaramente fuori. L’arbitro ha dovuto interrompere il gioco e far rigiocare il punto. La direzione del torneo ha spiegato che il sistema era stato disattivato tra un match e l’altro e che qualcuno non lo ha riattivato. Da allora sono state implementate misure per impedire che le telecamere vengano spente manualmente durante il gioco.

Nel quarto di finale tra Taylor Fritz e Karen Khachanov, un’altra situazione controversa ha visto il sistema chiamare “fault” durante uno scambio, mentre un raccattapalle era ancora in campo. Questo ha impedito al sistema di riconoscere correttamente l’inizio del punto. L’arbitro ha sospeso il gioco e ha fatto ripetere lo scambio dopo aver verificato il corretto funzionamento della tecnologia. Il giudizio sulla tecnologia ha diviso i due atleti. Fritz l’ha accolta positivamente, sostenendo che “elimina il dubbio legato alle challenge”. Al contrario, Khachanov ha sottolineato la sensazione di solitudine in campo, senza la presenza dei giudici di linea.

Più giocatori hanno sollevato dubbi sulla precisione del sistema. Emma Raducanu, dopo la sconfitta contro Aryna Sabalenka, ha espresso sfiducia nelle chiamate elettroniche, citando un episodio in cui una palla chiaramente fuori è stata giudicata buona. Jack Draper ha condiviso lo stesso scetticismo: “Non credo che il sistema sia affidabile al 100%.”

Altri problemi segnalati riguardano Ben Shelton, costretto ad accelerare il proprio match per evitare il rischio di malfunzionamenti con il calare della luce (dopo un certo orario la macchina si spegne), e alcuni giocatori che hanno lamentato difficoltà a sentire le chiamate automatiche sui campi secondari. Una tennista sorda ha inoltre sottolineato la mancanza di segnali visivi o manuali che facilitino la comprensione dell’esito del punto. Anche Belinda Bencic ha manifestato dubbi sulla tecnologia, mentre Alexander Zverev, nei mesi scorsi, aveva già criticato una chiamata elettronica controversa in un altro torneo, pubblicando una foto su Instagram.

La posizione degli organizzatori

Sally Bolton, CEO dell’All England Club, ha chiarito che il sistema non si basa su intelligenza artificiale, ma su tecnologia elettronica automatizzata che comunque necessita dell’attivazione da parte di operatori umani. L’errore più grave, ad esempio, quello dell’Hawk-Eye disattivato, è stato imputato a una gestione manuale errata. Per questo è stata eliminata la possibilità per gli operatori di spegnere il sistema durante il gioco. Wimbledon sta sperimentando in tempo reale le potenzialità e i limiti di un’automazione totale nel tennis. Il dibattito su affidabilità, trasparenza e sicurezza è più vivo che mai, e trovare un equilibrio efficace tra tecnologia e presenza umana rimane una sfida centrale per il futuro dello sport. Forse, come tutte le novità, ci vuole solo una buona dose di pazienza per eliminare ogni criticità.

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