sabato, Luglio 12, 2025
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Quanto ci costeranno i dazi di Trump

AGI – Nel caso i dazi imposti dall’amministrazione Trump dovessero rimanere gli stessi di oggi, costerebbero al nostro Paese circa 3,5 miliardi di euro di mancate esportazioni. Se, invece, dovessero essere innalzati al 20 per cento, il danno economico ammonterebbe fino a 12 miliardi di euro. Sono stime della Cgia di Mestre basate su elaborazioni Ocse. Secondo la Cgia, potrebbero verificarsi situazioni molto più gravi di quelle appena descritte, se le politiche protezionistiche di Trump dovessero provocare una forte svalutazione del dollaro, innescare contromisure capaci di causare una caduta della domanda globale e dei mercati finanziari.

Gli Stati Uniti rappresentano il secondo mercato di sbocco per le esportazioni italiane, con un valore annuale che nel 2024 ha toccato i 64,7 miliardi di euro, pari a circa il 9 per cento dell’intero export nazionale. In particolare, le categorie merceologiche maggiormente esportate negli Usa includono prodotti chimici/farmaceutici, autoveicoli, navi/imbarcazioni e macchine di impiego generale. Queste voci incidono per oltre il 40 per cento delle vendite totali nel mercato statunitense. Il numero degli operatori commerciali italiani attivi negli Stati Uniti è relativamente contenuto, ammontando a poco meno di 44 mila unità; a questo dato si devono aggiungere le imprese dell’indotto non contabilizzate nelle statistiche Istat. 

I dazi penalizzerebbero soprattutto il Mezzogiorno

Secondo la Cgia, i dazi potrebbero colpire in particolare le esportazioni del Mezzogiorno. A differenza del resto del Paese, infatti, quasi tutte le regioni del Sud presentano una bassa diversificazione dei prodotti venduti nei mercati esteri. Pertanto, se dopo acciaio, alluminio e derivati, autoveicoli e componentistica auto, gli Stati Uniti — e di conseguenza altri Paesi — decidessero di innalzare le barriere commerciali anche su altri beni, gli effetti negativi per il nostro sistema produttivo si concentrerebbero maggiormente nei territori dove l’economia dell’export è fortemente condizionata da pochi settori.

Le regioni più a rischio sono Sardegna, Molise e Sicilia. La Sardegna presenta a livello nazionale l’indice di diversificazione peggiore (95,6%), dominata dall’export di prodotti derivanti dalla raffinazione del petrolio. Seguono il Molise (86,9%), caratterizzato da un peso elevato della vendita di prodotti chimici, materie plastiche e gomma, autoveicoli e prodotti da forno, e la Sicilia (85%), con una forte vocazione nella raffinazione di prodotti petroliferi. Tra le realtà del Mezzogiorno, solo la Puglia mostra un livello di diversificazione elevato (49,8%), che la colloca al terzo posto a livello nazionale tra le regioni potenzialmente meno a rischio da un’eventuale estensione dei dazi ad altri prodotti.

Le aree meno esposte al rischio sono soprattutto al Nord

Ad eccezione della Puglia, le aree teoricamente meno in pericolo sono tutte del Nord. La Lombardia, con un indice del 43%, è ipoteticamente la meno a rischio. Seguono Veneto (46,8%), Puglia (49,8%), Trentino Alto Adige (51,1%), Emilia Romagna (53,9%) e Piemonte (54,8%). La Città Metropolitana di Milano è l’area geografica del Paese che esporta di più verso gli Stati Uniti: nel 2024 le vendite hanno toccato i 6,35 miliardi di euro. Seguono Firenze con 6,17 miliardi, Modena con 3,1, Bologna con 2,6 e Torino con 2,5 miliardi. Queste cinque realtà territoriali insieme esportano quasi un terzo del totale nazionale.

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