domenica, Luglio 13, 2025
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Pressing di Putin all’Iran: rinunci all’uranio arricchito

AGI – Alla vigilia del decimo anniversario dello storico accordo sul nucleare iraniano, Vladimir Putin è sceso in campo per convincere Teheran a negoziare un nuovo accordo con gli Stati Uniti che escluda l’arricchimento dell’uranio. Un pressing diplomatico fino a poco tempo fa impensabile per Mosca, da sempre sostenitrice del diritto dell’Iran al nucleare civile.

Questo nuovo approccio è coerente con la linea flessibile che Putin sta adottando nei rapporti con gli Stati Uniti: irremovibile sulla questione ucraina, ma disposto a mediare sull’Iran. Al punto da offrirsi come facilitatore e da limitarsi a una condanna generica dopo l’attacco ordinato da Donald Trump contro tre centrali nucleari iraniane.

Secondo il sito Axios, Putin ha chiesto esplicitamente al regime iraniano di rinunciare all’arricchimento dell’uranio e ha informato della sua posizione Trump e Israele. L’Iran, tuttavia, non intende cedere e continua a nel conflitto ucraino anche attraverso i drone Shahed, utilizzati nelle ultime offensive.

La posizione del governo iraniano

Abbas Araghchi, ministro degli Esteri iraniano, ha ribadito che Teheran non accetterà accordi senza arricchimento. Ha convocato il corpo diplomatico straniero e riaffermato la disponibilità al dialogo: “L’Iran è pronto a negoziati, ma devono ”.

Limiti ai negoziati 

Araghchi ha chiarito che eventuali negoziati futuri riguarderanno esclusivamente il programma nucleare, per offrire garanzie sulla sua natura pacifica. Ha inoltre escluso qualsiasi trattativa sul programma missilistico iraniano e sulle capacità militari di difesa.

Il ministro ha messo in guardia l’Europa contro l’eventuale reintroduzione di sanzioni basate sul Jcpoa: “Significherebbe la fine del ruolo europeo nel dossier nucleare iraniano”. Malgrado alcuni tentativi, l’UE non è stata protagonista delle recenti trattative.

Il negoziato storico e la nascita del Jcpoa

Eppure un ruolo l’aveva potuto e saputo giocare nei 20 mesi di negoziato che portarono al Jcpoa, annunciato al mondo il 14 luglio del 2015 (e silurato da Trump nel maggio del 2018). E Araghci conosce alla perfezione tutti i dettagli, politici e tecnici, delle 100 pagine di quell’accordo, perché fu proprio lui a negoziarlo, insieme al suo vice Majid Takht-Ravanchi, quando ministro era Javad Zarif.
Araghchi e Ravanchi hanno condotto per mesi le trattative a livello tecnico con Wendy Sherman, per gli Stati Uniti, e Helga Schmid, diplomatica del Servizio europeo per l’azione esterna e braccio destro dell’Alto rappresentate – prima Catherine Ashton poi Federica Mogherini – cui le Nazioni Unite avevano affidato il ruolo di facilitatore dei negoziati iniziati nel 2013.

La prima vera svolta arrivò il 2 aprile del 2015, sulle sponde del lago di Losanna, quando si fissarono i parametri del futuro accordo. Ma fu la maratona negoziale di due settimane a Vienna tra i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza più la Germania da una parte e l’Iran dall’altra a condurre all’intesa.

Insieme ad Araghchi, che però all’epoca era in seconda fila, i soli protagonisti di quella stagione ancora in politica attiva sono il ministro russo Serghei Lavrov e il cinese Wang Yi. Insieme a loro attorno al tavolo dell’hotel Coburg, messo a disposizione dal governo austriaco, sedevano l’americano John Kerry per conto di Barack Obama, il tedesco Frank-Walter Steinmaier (ora Presidente della Repubblica), il francese Laurent Fabius e l’inglese Philip Hammond. Oltre a Zarif e Mogherini.

Servirono oltre quindici giorni (e notti) in pieno Ramadan per mettere a punto tutti i dettagli delle diverse fasi di attuazione dell’accordo, compresa la delicata questione della revoca e della possibile reintroduzione delle sanzioni Onu. E del preambolo politico, in cui l’Iran si impegnò formalmente a non cercare mai di dotarsi dell’arma nucleare.

Tra crisi e riunioni su più tavoli, il 13 luglio finalmente l’intesa che non fu però comunicata subito. Bisognava mettere a punto i dettagli della dichiarazione congiunta con cui sarebbe stato dato l’annuncio ufficiale e decidere il cerimoniale. Con qualche resistenza dei francesi che avrebbero preferito volare in patria per la festa nazionale. Ma non si poteva aspettare ancora un giorno in piu’.
Così fu stabilito di dare l’annuncio la mattina seguente e lasciare a Fabius il tempo di tornare a Parigi per celebrare la presa della Bastiglia nel pomeriggio.

Fu concordato che tutti i ministri sarebbero saliti sul palco della sede viennese dell’Onu, ma solo Mogherini e Zarif avrebbero preso la parola per leggere lo stesso testo, in inglese e farsi.

“Oggi è un giorno storico”, furono le prime parole, “nessuno ha mai pensato che potesse essere facile. Le decisioni storiche non lo sono mai. Ma malgrado tutte le svolte, le difficoltà durante i colloqui e le numerose proroghe, la speranza e la determinazione ci hanno permesso di superare tutti i momenti difficili. Siamo sempre stati consapevoli della responsabilità che abbiamo verso la nostra generazione e a quelle future”.

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