venerdì, Luglio 18, 2025
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Il “j’accuse” degli innocenti

AGI – Quando si dice che l’innocenza sconfigge il male. Il terribile omicidio della piccola Fortuna Loffredo, 6 anni, il 24 giugno 2014 buttata giù dal terrazzo all’ottavo piano di una palazzina dell’Iacp del Parco Verde di Caivano, a nord della cintura metropolitana di Napoli, è stato risolto grazie ai bambini, con il “j’accuse” degli innocenti.

Stando alle sentenze (l’ultima nel 2019 della Suprema Corte), sono stati i minori a dire agli investigatori quel giorno come sono andate le cose (tentato stupro e poi omicidio), cosa succedeva in quel condominio (abusi sessuali ripetuti su minori) e qual era il loro desiderio di piccoli (giocare). Detto così sembra che l’atto di coraggio non sia stato un granché. Invece è stato gigantesco: quei “piccirilli” (la maggior parte sotto i 10 anni di età) hanno superato la loro stessa paura, sfidato i grandi e l’omertà dettata dalla malavita.

La montagna, però, non l’hanno scalata da soli. Sono stati protetti e supportati. Sia dalla rete di aiuti – psicologico e assistenziale – stesa dai magistrati di Procura della Repubblica di Napoli Nord e Tribunale per i minori. Sia dagli psicologi del Reparto analisi criminologiche (Rac) del Raggruppamento carabinieri investigazioni scientifiche (Racis). Il lavoro dei militari psicologi, assieme a quello di figure professionali analoghe della casa-famiglia che ospitava i baby testimoni, ha assicurato l’esito processuale.

Sono stati condannati Raimondo Caputo – soprannominato Titò, napoletano, del 1972 – e la convivente Marianna Fabozzi, di Caserta, nata nell’83. Il primo alla pena dell’ergastolo per aver cercato di violentare la piccola Fortuna Loffredo (6 anni) e, al suo rifiuto, per averla lanciata giù dallo stabile. La seconda, invece, a 10 anni di carcere perché ritenuta responsabile di abusi sessuali su una delle sue figlie.

La decisione dei giudici ha incassato commenti pro e contro. Ma come ci si è arrivati?

La mattina del fatto, Fortuna Loffredo (detta Chicca), accompagnata dalla madre, va a una seduta di logoterapia. Dicono gli atti giudiziari che tra le 11:10 e le 11:30 le due tornano a casa: isolato 3, scala C, interno 24, al sesto piano di una palazzina del Parco Verde. Poi? Chicca vuole andare a giocare dalla sua amica del cuore, al piano superiore, al settimo. Salgono anche fratellino e cuginetto di Fortuna, subito ridiscesi perché richiamati dalla madre di quest’ultimo. Dopo 10 minuti il corpo della bambina è disteso come uno straccio sull’asfalto antistante al palazzo. 

Da questo punto in avanti le questioni centrali saranno: dove è stata Chicca, chi era con lei, perché è volata da lassù? Nell’ampio periodo delle indagini si verificano pure episodi e coincidenze strane. Per esempio, immediatamente dopo la caduta, la bambina è stata sollevata da terra, caricata in auto e portata all’ospedale di Frattamaggiore, nonostante le sue numerose fratture.

Un anno prima, da quel palazzo è precipitato un altro bimbo – Antonio, 4 anni – uno dei figli della madre dell’amichetta di Chicca. Al Parco Verde chi parla con le guardie è un infame. I carabinieri piazzano microspie ovunque e gli abitanti organizzano squadre per rimuoverle (una sessantina pare). È talmente nota la cosa che, parlando con gli specialisti del Rac, anche i bambini sanno e chiamano i dispostivi “microspini”. Il 1° marzo 2015, il pubblico ministero della prima ora – Federico Bisceglia, 45 anni, di Catanzaro, serio e determinato – muore in un incidente stradale sulla Salerno-Reggio Calabria: la macchina ha sbandato. E sono accadute altre cose ancora. 

Tornando agli interrogativi, pare che la chiave per risolvere il caso si trovi in quell’appartamento e in un arco di tempo di circa 10 minuti. La verità, però, è un ago nel pagliaio. Un nuovo fatto sgombera il campo. Dalle carte processuali, si legge, il ginecologo ha rilevato sul corpo di Fortuna “una condizione di abuso cronico per via anale, un vero e proprio sconquasso anatomico, abusi ripetuti nel tempo, almeno un anno”. Concludendo: “Non si esclude la possibilità di abusi penetrativi risalenti a due o tre giorni prima”. In seguito, anche le figlie della Fabozzi vengono trasferite in casa-famiglia “per scarsa capacità genitoriale” della donna, ordina il Tribunale per i minori partenopeo.  

Gli esperti del Rac hanno già sentito vari bambini in un modo o nell’altro coinvolti nella brutta storia. Il loro compito: “Dettagliare cose e persone di cui, lui e lei, avessero timore – riporta la relazione – osservare comunicazione verbale e non verbale e le reazioni emotive, di eloquio e motorie, descrivere stato emotivo e di stress situazionale ed eventualmente post-traumatico e approfondire stato umorale”.

La persona attorno alla quale ruota tutto è l’amica del cuore di Chicca, all’epoca di 10 anni di età: lei sa, lei può dire. Ma non è semplice. Gli analisti della sezione “Psicologia investigativa” lo segnalano: “È esposta a una condizione di elevato pregiudizio”. Cioè, gli adulti continuano a dirle di non fiatare. Ma ormai la messinscena sta venendo giù. In comunità le piccole riferiscono di violenze su di loro, film porno e giochi particolari. E gli specialisti confermano: sui loro corpi “dilatazione anale passiva”.

Nel novembre 2015, Raimondo Caputo e Marianna Fortuna vengono arrestati per violenze sulle figlie. E la bambina supertestimone si scioglie. Prima racconta “di avere subito abusi da parte di Raimondo”, riporta la sentenza della Corte di Assise di Napoli del luglio 2017, ripresa un anno dopo dai giudici dell’Appello. Poi – proseguono i magistrati – finisce “con l’ammettere che quando Chicca è entrata in casa Raimondo era presente” lei li aveva seguiti e lo aveva visto: “Lui tentava di violentare Chicca che gli dava dei calci”. Quindi la tragedia. 

Giustizia è fatta. In un diario “segreto” datole in precedenza dagli operatori della casa-famiglia, l’amichetta scrive che adesso si sente libera: “Finalmente ho detto tutta la verità, sono felice ora, mi sento più tranquilla e felice per avere detto tutta la verità alle dottoresse e non voglio andare con un’altra famiglia, quello deve pagare quello che ha fatto”.

Ma non tutti la pensano così. Il padre di Fortuna, Lorenzo Loffredo – rappresentato dall’avvocato Angelo Pisani (nel maggio 20124, con il giornalista Giovanni Chianelli autore del libro “Ho visto Chicca volare”, edizioni Fuori Scena) – non si è costituito parte civile nei confronti di Caputo. Cinque anni fa ha sciorinato i suoi dubbi in un’intervista rilasciata al sito internet “Fanpage.it”.

“Raimondo Caputo – ha detto – è innocente. Chi lo accusa è una bambina di 11 anni”. Sottolinea alcuni passaggi negli atti che non reggerebbero e poi sostiene: il vero movente dell’omicidio non è sessuale “ma una vendetta” contro l’ex moglie Mimma Guardato. Quest’ultima, invece, è, sostenuta dall’avvocato Gennaro Razzino, ha avuto altre parole. “Mi domando perché – ha detto in un’intervista del maggio 2016 alla trasmissione tv su Rai1 ‘Petrolio’ – Non credevo che si arrivasse a tanto, a toccare i piccoli. Come ha fatto (Caputo, ndr) ad abusare di una bambina di 6 anni: è un mostro”.

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