AGI – “Non voglio andare a vivere con mia madre, ho il terrore che uccida anche me”. È la paura manifestata anche per vie diplomatiche da C., la figlia 16enne dell’imprenditore italiano Raphael Alessandro Tunesi per il cui omicidio è stata arrestata come mandante la moglie (e madre della ragazza), Elisabeth Gomez Jimenez. A quanto apprende l’AGI, il primo agosto i giudici messicani hanno concesso alla donna la libertà vigilata in base alla legge che lo prevede nel caso siano trascorsi più di due anni dai fatti senza che si sia arrivati a una sentenza. Uscita dalla prigione, la cittadina italo-messicana ha subito chiesto che l’adolescente torni a vivere con lei. L’agguato che ha portato alla morte a 43 anni di Tunesi nel Comune di Palenque, in Chiapas, risale al primo luglio 2022. La ragazza, cittadina italiana, attualmente vive con una conoscente che si è affidata all’avvocato Aurelio Martinez Rosalas, informato anche sugli ultimi sviluppi della vicenda.
“Rischiosa” la convivenza madre-figlia
Contattato dall’AGI, il legale spiega che “la signora Gomez Jimenez ha chiesto che la figlia torni a stare con lei nell’hotel di proprietà del padre nel quale si trova dall’inizio di agosto. È vero che le norme giuridiche stabiliscono che i bambini e gli adolescenti debbano rimanere sotto la cura e la protezione dei propri genitori ma la legge chiarisce che questo non può avvenire se dovesse rappresentare un rischio per loro, come evidentemente è nel caso di C.”. Per il legale la convivenza tra madre e figlia sarebbe “molto rischiosa“.
Allertata la diplomazia
Fonti diplomatiche riferiscono che “l’Ambasciata d’Italia a Città del Messico segue il caso con la massima attenzione sin dalla prima segnalazione, mantenendo costanti contatti con le autorità locali e fornendo ogni necessaria assistenza consolare”. L’avvocato Martinez Rosalas afferma che “i pericoli derivano dal fatto che la madre è soggetta a un procedimento penale per il reato di omicidio aggravato ai danni del padre e C. ha espresso il fondato timore che la donna possa ucciderla per questioni relative all’eredità del defunto padre e ha ricevuto minacce da sua madre se non accetta di tornare in Chiapas”.
Il Tribunale sta valutando proprio in questi giorni la possibilità che venga sancito l’affido ufficiale di C. alla conoscente. Le paure della sedicenne sono giustificate anche dal contesto in cui, secondo le indagini, sarebbe maturato il crimine. Gomez è considerata la mandante mentre il suo compagno Geraldo Antonio Guizar Arguello e l’altro presunto killer, Luis Martin Marquinba Tercero, sono indicati nel mandato di arresto come autori materiali. I due sono reclusi nel carcere di Catazaj. Tutti, con ruoli diversi, sono ritenuti responsabili del blitz nel quale Tunesi, proprietario di un hotel di lusso a Palenque e stimato tra i massimi esperti di archeologia Maya a livello mondiale, venne ucciso a colpi di pistola da una coppia di killer in moto mentre si trovava a bordo della sua auto vicino alla scuola dove si stava recando per andare a prendere C.
Il processo a rilento
Il processo in corso, dichiara l’avvocato Martinez Rosalas, “è più o meno a metà e C. potrebbe essere chiamata a testimoniare se la Procura lo riterrà opportuno. Tuttavia ci sono stati dei ritardi che hanno favorito l’imputata. Non si sa quanto tempo manchi, va considerato che c’è corruzione nel Tribunale di controllo, nel Tribunale di giudizio della Regione 3 di Catazaja e nella Procura generale dello Stato di Chiapas, Messico”.
C. racconta che “una settimana dopo l’arresto di mia madre, il DIF (Ente per lo sviluppo della Famiglia) ha chiesto a mia zia, con la quale vivevo inizialmente, di farci delle domande. Mia zia e mia madre hanno esercitato pressioni per farmi dire che mio padre maltrattava mia madre. Poiché mi sono rifiutata e ho detto la verità, per punirmi mi hanno tolto il telefono e bloccato ogni mezzo di comunicazione con l’esterno. Per due mesi sono stata completamente isolata in casa. Quando mia madre era in carcere, ero costretta ad andarla a trovare. Il viaggio andata e ritorno durava 12 ore ed ero costretta a stare 4 ore con lei. Le sue minacce di punirmi se non fossi andata mi arrivavano dal carcere dove poteva usare il telefono e c’era il wi-fi”.