AGI – “L’amore è il ramo a cui aggrapparsi nel momento del naufragio”. E’ quasi una confidenza quella che fa all’Agi Maurizio de Giovanni. Parte da qui un confronto sincero e intimo con lo scrittore napoletano su i suoi due libri usciti nel 2025, ‘L’antico amore’ e ‘Il pappagallo muto. Una storia di Sara’. Due fatiche letterarie diverse, ma unite dal filo rosso dell’emozione e della memoria, tra la voce di Catullo che attraversa i secoli e il ritorno in azione della donna invisibile Sara Morozzi.
Un dialogo che tocca anche il ‘suo’ Napoli, pronto a scendere in campo questa sera per la prima giornata di Serie A a Sassuolo, e il legame indissolubile tra letteratura, passione e vita. ‘Il pappagallo muto’ sarà presentato in Puglia, a Bisceglie, nell’ambito della rassegna Libri nel Borgo Antico” il 29 agosto al porto di N. Sauro.
‘Il pappagallo muto’ segna il ritorno di Sara Morozzi come protagonista: quali atmosfere e tensioni hai voluto esplorare questa volta, rispetto ai suoi precedenti casi?
Sì, ‘Il pappagallo muto’ è il settimo romanzo – più un racconto – della serie. Stavolta ho voluto prendere in esame la lotta al potere occulto, cioè la presenza di un modo di gestire politica, finanza e molto altro, da dietro le quinte. Sara si ritrova a fronteggiare proprio questo tipo di avversario e ritorna in campo, richiamata a dimostrazione del fatto che il pensionamento non significa mettere fuori combattimento chi ha competenze ed esperienza.
Cosa ha ispirato la scelta di un pappagallo mutaforma come simbolo narrativo?
‘Il pappagallo muto’ è una vecchia barzelletta che racconto anche all’interno del romanzo. Non posso dire di più altrimenti rivelerei parte della trama, ma è proprio da quella vecchia barzelletta che può nascere anche una storia molto nera. Io ho provato a farlo.
Lavorando spesso con il teatro e con la televisione, quanto il ritmo della scena influenza la scrittura di un romanzo?
Il romanzo viene sempre prima. Le storie e le immagini che io vedo nascono prima della loro eventuale trasposizione scenica. La messa in scena è un’altra forma di creatività, che appartiene ai registi, agli attori: non mi riguarda. Io scrivo le mie storie, poi il resto è un lavoro successivo.
Nel mondo dove Sara ruba segreti, qual è il segreto più buffo o sorprendente rubato nella realtà, cioè a personaggi o situazioni reali?
I segreti che rubo alle persone sono piccoli tic, piccole fobie, quei dettagli che rendono i miei personaggi più reali. Sono queste le cose che prendo dalla vita quotidiana e che poi metto nei miei romanzi.
C’è, invece, una storia antica portata nel cuore per 16 anni: un incontro con un vecchio lettore, al bar, che è diventato ‘L’antico amore’
Quello che ho raccontato è assolutamente vero. In quel momento mi è rimasto nella fantasia e nell’immaginazione l’embrione di questa storia, che ha continuato a crescere, a mettere rametti e foglie, finché non ho trovato io il coraggio di raccontarla. Tornava sempre nella mia memoria, in maniera dolce ma anche prepotente: non riuscivo a liberarmene. Il filo conduttore è stato la poesia di Catullo. ‘L’antico amore’ racconta l’amore dalla parte dei maschi, che paradossalmente è poco frequentato e non si racconta spesso. La bellezza di queste incredibili poesie scritte 2100 anni fa è che hanno ancora un impatto identico sui cuori delle persone: si innamorano di Catullo i ragazzi di 16 anni, ma anche gli uomini anziani nelle varie tinte del ricordo dell’amore. Perché l’amore si vive, ma si continua a viverlo anche quando non lo si vive più, come ricordo forte e vivo nella mente degli uomini. Io ho voluto raccontare proprio questo: la permanenza dell’amore, quel tipo di amore intrecciato al dolore e alla perdita.
La voce di un poeta latino del I secolo a.C. attraversa il libro… più vicino alla letteratura antica che al noir contemporaneo in questo romanzo?
Io credo che quando scattano i sentimenti, quando li si guarda nel concreto, la letteratura rimanga sempre letteratura, a prescindere dal tempo e dallo spazio. La vera natura della letteratura è l’emozione, e questa rimane inalterata. Penso che questo libro tenti di raccontare proprio questo: la sopravvivenza dell’amore, l’alternativa di vita che costituisce l’amore. Il professore de “L’antico amore” cerca di inseguirlo, non lo rifiuta, non si volta dall’altra parte. Cerca di seguirlo e non ci riesce. Perché la vita non è fatta solo di scelte: c’è il resto che ti ferma, che ti blocca, che ti impantana. Ma questo non significa che l’amore non lasci tracce profonde nella vita delle persone.
In un mondo dove tutto sembra rapido e consumabile, cos’ha di rivoluzionario parlare di un amore che resiste millenni?
Ti porta da un’altra parte, ti prende per mano e ti trascina in un’altra dimensione. E in quella dimensione scopri di essere felice, o perlomeno di avere la speranza della felicità, che è la stessa cosa. È difficile rinunciarci.
In queste pagine sembra che il confine tra poesia e narrativa diventi sottilissimo. Lei si è sentito più narratore o più poeta scrivendo?
Io guardo le mie storie dal di fuori, le guardo come dalla finestra. Le vedo accadere realmente. Quindi l’output – ciò che diventa dopo – non cambia: io continuo a sentirmi narratore.
Rispetto ai suoi romanzi polizieschi, qui non c’è un morto ammazzato: c’è l’amore, l’ossessione, la luce negli occhi di chi guarda. È stato liberatorio o rischioso te scrivere ‘fuori genere’?
È stato molto rischioso. Non sapevo come i miei lettori avrebbero scelto di seguire questa storia, se sarebbero rimasti delusi o no. Invece, grazie a Dio, “L’antico amore” è stato seguitissimo, partecipato e abbracciato. È stato tra i romanzi di maggior successo dell’anno, e io ne sono molto grato, perché non era affatto scontato.
Ha detto una volta che solo il poliziesco può raccontare con esattezza il nostro Paese. Cosa l’affascina di questo genere come lente poetica della realtà? Forse ora è tempo, appunto, di un po’ di amore?
È sempre tempo d’amore. La vita sociale purtroppo ci porta a rinunciare spesso all’amore, sia individuale sia collettivo. Quello che sta succedendo oggi sembra negarlo, sembra dirci che non lo vedremo più. Invece l’amore è il ramo a cui aggrapparsi nel momento del naufragio. È l’elemento più reale e più necessario della vita umana.
Viviamo tempi segnati da guerre, paura e rabbia sociale. Pensa che la narrativa possa ancora educare all’empatia e alla speranza?
Io credo che solo la narrativa possa aiutare. La lettura è ricerca delle storie degli altri, e quindi anche di parti di se stessi a cui altrimenti si rinuncia. I lettori sono raramente violenti o guerrafondai, hanno sempre un’attitudine diversa alla sensibilità, sono assai raramente persone che scelgono le scorciatoie. Se vivessimo in un mondo di lettori, sarebbe difficile immaginare guerre.
C’è un tema civile o politico su cui uno scrittore non dovrebbe mai tacere?
Non credo ci siano territori esclusi dalla letteratura, dalla fantasia, dal racconto: anzi, la letteratura deve esplorare tutto, in ogni momento. È fondamentale guardare il mondo attraverso la scrittura.
Se dovesse invitare a cena un tuo personaggio e un calciatore del Napoli, chi metterebbe allo stesso tavolo e perché?
Inviterei Sara, senz’altro: è il personaggio più intrigante e affascinante, nei suoi silenzi e nei suoi occhi c’è tutta la verità del mondo. E la metterei a tavola con Conte: anche lui è un interprete, uno che guarda la realtà e cerca di cambiarla in maniera positiva.
Oggi c’è la prima di campionato… Scrive tanto di misteri e di segreti: qual è il segreto di Maurizio de Giovanni tifoso?
Chiedi a Dr. Jekyll di parlare di Mr. Hyde! Il calcio è passione. Io sono visceralmente tifoso della squadra della mia città, del mio territorio, dei rapporti identitari. Però la bellezza di una vittoria non significa odiare gli avversari: anzi. Amo la mia squadra e sono felice di ritrovarla all’inizio di questa stagione.
Come ha vissuto l’infortunio di Lukaku?
Mi è dispiaciuto moltissimo, innanzitutto per lui: è un atleta di grande cuore, intelligenza e sensibilità. Poi mi è dispiaciuto per il Napoli, che per alcuni mesi perde una pietra miliare, un ingrediente fondamentale. Sono convinto che tornerà più forte di prima.
Quest’anno è l’anno buono per tornare a sperare lo scudetto?
Io non lo dico e non lo dirò mai. Non l’ho detto l’anno scorso e non lo dico adesso. Sono fortunato perché ho visto quattro scudetti su quattro, e spero di vederne altri. Ma sono certo che le nuove generazioni vedranno le loro vittorie.