AGI – Dopo i nuovi episodi che hanno paralizzato gli aeroporti in Danimarca si è riacceso il dibattito sulla sicurezza degli scali di fronte alla minaccia dei droni. Alla Camera il ministro della Difesa Guido Crosetto ha accennato alle contromisure che già esistono e sono operative negli aeroporti di Roma e Milano, gestiti rispettivamente da AdR e SEA. Ma sono complesse e non prive di limiti, come dice all’AGI l’ingegnere aeronautico Cristiano Baldoni, ex ad di D-Flight ed ex dirigente Enav.
“Oggi” spiega Baldoni “gli aeroporti principali dispongono di sistemi di drone detection, capaci di rilevare la presenza di un velivolo sospetto nello spazio aereo. Sono strumenti reattivi, però: non impediscono al drone di alzarsi in volo, ma scattano quando è già nell’aria, portando in alcuni casi alla chiusura dello spazio aereo”.
Una questione (anche) economica
“Fare detection di oggetti piccoli, con bassa impronta elettromagnetica, è molto più difficile che individuare un aereo. I sistemi sono costosi e non tutti i gestori aeroportuali possono permetterseli. Oggi sono operativi negli aeroporti di Roma e Milano, gestiti rispettivamente da AdR e SEA, e l’investimento è stato fatto direttamente dai gestori, che per simmetria sono responsabili anche della sicurezza perimetrale. Ma è chiaro che bloccare Fiumicino non è come bloccare un aeroporto regionale: il rapporto costi-benefici cambia radicalmente”.
Difficile abbatterli
Ancora più delicato il tema dell’abbattimento. “Il processo di counter-UAS si articola in tre fasi: detection, identificazione e neutralizzazione. Il primo passo è capire se il drone è davvero un intruso o se è autorizzato a operare, ad esempio per riprese video. Poi si passa all’eventuale intervento. Ma qui sorgono i problemi: solo le forze dell’ordine possono impiegare sistemi d’arma, inclusi quelli elettronici come gli impulsi elettromagnetici. E in un ambiente delicato come un aeroporto, l’abbattimento di un drone pone interrogativi enormi sui rischi collaterali: dove cade il velivolo? Quali danni può provocare?”.
Per ridurre questi rischi sono allo studio soluzioni alternative: “Si sperimentano droni ‘cacciatori’ equipaggiati con reti per catturare l’intruso senza distruggerlo. In Ucraina si ricorre invece al jamming, la creazione di bolle che disturbano i sistemi satellitari di navigazione. Ma questa tecnica compromette anche la navigazione civile: non è un caso che abbia già causato quasi-incidenti, come quello che ha coinvolto la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen”.
Per Baldoni, la strada è chiara: “La regolamentazione europea non ha ancora stabilito chi debba essere responsabile della gestione di questi sistemi, se i gestori aeroportuali o i fornitori dei servizi di traffico aereo. È un tema che non può restare sospeso: serve un dibattito serio, non più solo accademico, perché la minaccia è concreta e va affrontata con decisioni condivise”