L’annuncio del piano di Trump
Alla fine, il tanto atteso incontro è arrivato. E con esso anche la presentazione del piano elaborato da Trump per Gaza. “Pace per il Medio Oriente“, è questo il nome dell’accordo annunciato dal presidente degli Stati Uniti nella East Room della Casa Bianca, insieme al premier israeliano Benjamin Netanyahu.
41 minuti la durata delle dichiarazioni congiunte per rivelare un accordo che Trump definisce “storico, uno dei più grandi della civiltà”. 28 per il tycoon, poco meno di 13 per Bibi, per spiegarne il contenuto. Quanto basta per formalizzare e rendere nota la proposta delineata da Washington, con l’ok di Tel Aviv, per porre fine alla guerra a Gaza.
Ultimatum ad Hamas
Un piano condizionato a una serie di punti (20 contro i 21 inizialmente annunciati) che implicano, di fatto, la resa politica e militare di Hamas. Sin da subito, infatti, sia Trump che Netanyahu hanno chiarito che non avrebbero lasciato all’organizzazione islamista alcuna scelta. In caso di rifiuto, ha scandito Trump, “Israele avrebbe il pieno sostegno statunitense per portare a termine il lavoro di distruzione della minaccia”. Intanto, Hamas, che dal canto suo ha immediatamente risposto di non aver preso parte ai negoziati, e tramite un suo alto funzionario, Mahmoud Mardawi, ha dichiarato che il piano di pace per Gaza “propende verso la prospettiva israeliana”, prende tempo. Non un no secco, ma un primo freno, con la garanzia che il team negoziale “studierà la proposta in buona fede”.
Punti chiave della proposta
Proposta che ha un punto di partenza, ossia le 72 ore di tempo concesse ad Hamas, per liberare tutti gli ostaggi, vivi e deceduti. Questa la condicio sine qua non, senza la quale il resto dei 19 punti non verranno minimamente presi in considerazione. A seguire, la deposizione delle armi e la rinuncia a qualsiasi ‘sogno’ di governare o avere ancora un ruolo nella Striscia. A incentivare l’accettazione di queste prime tre condizioni, la promessa di un’amnistia per i membri dell’organizzazione con la possibilità di rimanere a Gaza o di un passaggio sicuro verso i Paesi di accoglienza, mentre – e questo è un altro dei punti del piano – ad amministrare quello che resta dell’enclave palestinese sarebbe un “comitato tecnico palestinese apolitico”, supervisionato da un nuovo organo internazionale, il “Board of Peace”, presieduto dallo stesso Trump e con membri di primo piano, tra cui l’ex premier britannico Tony Blair.
Reazioni internazionali
Tutti gli occhi della comunità internazionale erano puntati sul 1600 di Pensylvania Avenue, e appena terminate le dichiarazioni, sono state immediate le reazioni da parte dei leader di tutto il mondo. Starmer e Macron hanno riconosciuto lo sforzo e l’impegno messo in atto da Trump ed entrambi hanno invitato Hamas ad accettare. Da Roma è arrivata la dichiarazione di sostegno “agli sforzi di Washington per la ripresa di un dialogo tra Israele e i palestinesi” al fine di “concordare un orizzonte politico verso una pacifica e prospera coesistenza”. Ma le reazioni positive – particolarmente ricche di significato – sono arrivate anche da otto Paesi musulmani: Arabia Saudita, Giordania, Emirati Arabi Uniti, Indonesia, Pakistan, Turchia, Qatar ed Egitto hanno infatti accolto con favore il piano annunciato, così come uno dei diretti interessati, l’Autorità nazionale palestinese, che ha definito gli “sforzi sinceri e determinati”.
La possibile via per la tregua
Ora la palla passa ad Hamas, che pur fortemente indebolito resta l’altro protagonista principale del match, con il countdown dei tre giorni già scoccato, e con un dilemma esistenziale sullo sfondo. Rinunciare alle armi, accettare un programma che fondamentalmente eliminerebbe – almeno a Gaza – l’organizzazione terroristica come forza politica e militare e guardare un “Consiglio di Pace” guidato da Trump prendere il controllo di Gaza. In cambio un’amnistia, il cessate il fuoco, il ritiro delle forze israeliane a linee concordate, la sospensione di tutte le operazioni militari, la liberazione di 250 detenuti palestinesi condannati all’ergastolo e altri 1700 abitanti di Gaza arrestati dopo il pogrom del 7 ottobre 2023. Un piano allettante, che per la prima volta sembra mettere sul tavolo una tregua e anche una possibile via d’uscita dal conflitto. 20 punti che accendono sì qualche speranza, ma al contempo moltissime cautele.