AGI – Circa 700.000 anni fa la Sicilia era abitata dagli elefanti, giunti dal continente europeo grazie all’emersione di alcune porzioni di fondale marino nelle fasi glaciali: una sorta di ‘ponte sullo Stretto’ naturale. Quei mammiferi, però, si rimpicciolirono nel corso del tempo, adattandosi al contesto in cui si trovavano, fino a mostrarsi come il più piccolo elefante mai vissuto sulla Terra: l’elefante nano.
I resti di uno di questi mammiferi, della specie Palaeoloxodon Mnaidriensis vissuto in Sicilia nel Pleistocene tra 200.000 e 150.000 anni fa, fa sono stati trovati nei giorni scorsi nella zona di Fontane Bianche, nel Siracusano. A segnalare il ritrovamento di un affioramento di diversi resti di macrofauna vertebrata della specie estinta (Adams, 1874) è stato Fabio Branca, geologo dell’Università di Catania.
Il territorio Ibleo non è nuovo a rinvenimenti analoghi: a pochi chilometri di distanza spiccano i ritrovamenti di alcuni esemplari di Palaeoloxodon, provenienti nella Grotta di Spinagallo, tra cui il più importante è il Palaeoloxodon Falconeri, oggi ospitato dal Museo di Paleontologia del Dsbga dell’Università etnea e nel Museo Archeologico Regionale ‘Paolo Orsi’ di Siracusa. L’interesse paleontologico dell’area nord-iblea è solo una delle peculiarità di un’area fortemente interessata anche da altri fenomeni che la rendono interessante sotto il profilo geologico-ambientale: processi carsici diffusi hanno, ad esempio, portato alla luce grotte di pregio naturalistico, su tutte la Grotta Monello, Riserva Naturale Integrale dal 1998.
“Questo ritrovamento si trova inserito, pertanto, in un contesto dove ricadono riserve naturali, zone speciali di conservazione e geositi – spiegano gli esperti – e si tratta di uno scrigno di geodiversità che merita di essere studiato e tutelato al fine di consegnarlo alle generazioni future garantendo una fruizione ecosostenibile”. Approfonditi studi saranno avviati nei prossimi mesi, anche grazie a specifici accordi di collaborazione tra la Soprintendenza di Siracusa e l’Università di Catania. La Sicilia è tra le isole del Mediterraneo quella che ha il maggior numero di mammiferi fossili.
L’antenato del Palaeloxodon mnaidriensis, spiega il museo Gemellaro dell’Università di Palermo nella sua pagina Facebook, era il Palaeloxodon antiquus, “l’elefante dalle zanne dritte” alto fino a 4 metri e mezzo, che arrivo’ a colonizzare la Sicilia due volte: la prima volta circa 690.000 anni fa, dando origine al Palaeloxodon falconeri, e una seconda volta, intorno a 200.000 anni fa, alla specie i cui resti sono stati trovati nel Siracusano.
Sia il Palaeloxodon falconeri sia il Palaeloxodn mnaidriensis, spiega il museo, sono “un caso emblematico di evoluzione insulare: nelle isole, infatti, si verificano eventi di aumento o riduzione della taglia degli animali a seconda delle specie interessate e della loro ecologia”. Le isole, sottolinea uno studio pubblicato di recente su Papers Antology e che getta luce sulla dieta di questi animali, sono “laboratori naturali dell’evoluzione dove isolamento e risorse limitate portano a trasformazioni uniche”. Il Palaelocodon Falconeri si trovo’ in Sicilia senza predatori e pote’ quindi ridursi enormemente di taglia, per far fronte alla minor disponibilita’ di cibo.
La specie successiva Palaeloxodon mnaidriensis – si legge ancora nella pagina Facebook del museo Gemellaro – si rimpicciolì’ rispetto all’antenato continentale, ma in misura minore, perche’ arrivo’ in Sicilia insieme ad altri grandi mammiferi, predatori e competitori, e non poteva permettersi di restare piccolo. Secondo uno studio volumetrico dei fossili rinvenuti, i maschi pesavano intorno ai 250 kg e le femmine intorno ai 150. Rispetto ai loro antenati, gli elefanti nani erano più agili, avevano un cervello proporzionalmente molto piu’ grande, una crescita molto lenta e vivevano anche più a lungo.
A determinare il rimpicciolimento di questi animali furono, tra l’altro, le loro abitudini alimentari. Lo studio pubblicato su Papers Antology, firmato dei ricercatori delle Università di Padova e dall’Università di Zaragoza e guidati da Flavia Strani socia della Società paleontologica italiana, si è concentrato sull’usura dentaria dei fossili conservati al Museo della natuta e dell’uomo di Padova: entrambe le specie Falconeri e Mnaidriensis erano pascolatori, grandi consumatori di vegetazione erbacea abrasiva. Il minuscolo Falconeri, alto appena 1 metro, viveva in un ambiente con poche altre specie, ma la scarsità di risorse e la pressione esercitata da popolazioni numerose lo spinsero verso un’alimentazione ricca di piante dure e ricche di silice. La specie mnaidriensis (1,8-2 metri al garrese) condivideva invece l’isola con ippopotami e altri grandi mammiferi: la sua dieta rifletteva l’adattamento a un paesaggio sempre più dominato da praterie.