martedì, Ottobre 7, 2025
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‘7 ottobre’ due anni dopo, Israele piange morti e prega per i vivi

AGI – Marce, proteste, cartelloni e slogan, fiori e discorsi commemorativi hanno scandito la giornata di Israele nel secondo anniversario dell’eccidio di Hamas del 7 ottobre 2023, il peggior massacro di ebrei dai tempi della Shoah. Quel giorno oltre 1.200 persone, nella stragrande maggioranza civili, vennero uccise dai terroristi e 251 furono rapite e trascinate – vive o morte – a Gaza.

AGI – Un buco nero di dolore per le famiglie delle vittime e per quelle dei 48 rapiti che languono nella Striscia. Venti sarebbero ancora vivi. Migliaia di israeliani si sono radunati all’alba vicino Re’im, nel luogo dove due anni fa si stava tenendo il Nova Festival: lì poco meno di 400 giovani trovarono la morte e oltre 40 furono rapiti. “Eravamo seduti vicino all’ingresso di Nova e abbiamo sentito l’eco delle esplosioni. Allora non capivo che questo sarebbe stato il giorno che mi avrebbe cambiato la vita”, ha scritto su X Omer Wenkert, rilasciato da Hamas dopo 505 giorni.

Le manifestazioni per i rapiti e la pace

In tremila hanno preso parte a una pedalata in bici nella zona al confine con Gaza per chiedere la fine della guerra e il ritorno a casa dei rapiti. “Esattamente due anni fa, ci siamo addormentati e ci siamo svegliati nel giorno più buio della storia di Israele. A Be’eri, 102 amici e vicini sono stati assassinati, tra cui quattro che sono stati presi in ostaggio e non sono più in vita. Basta con la guerra, basta con il dolore. Riportate tutti a casa”, ha dichiarato sulla linea di partenza Haim Yellin, uno degli abitanti della comunità tra le più colpite il 7 ottobre.

Centinaia di attivisti hanno manifestato per il ritorno degli ostaggi davanti alle abitazioni di diversi ministri, a cominciare dal capo della diplomazia Gideon Sa’ar, il ‘falco’ alla guida della Giustizia Yariv Levin, ma anche Miri Regev dei Trasporti e le ministre a Scienza e Ambiente, Gila Gamliel e Idit Silman.

La condanna internazionale e la celebrazione di Hamas

E mentre Hamas continua a celebrare il 7 ottobre come un “glorioso giorno di successo” e una “risposta storica ai tentativi di sradicare la causa palestinese”, messaggi di cordoglio sono arrivati dai leader stranieri, che hanno ricordato le atrocità compiute dai terroristi e chiesto il ritorno dei rapiti ma anche la fine della guerra a Gaza che è scaturita da quel massacro.

Così il presidente francese Emmanuel Macron ha denunciato “l’orrore indicibile del terrorismo di Hamas” e ha assicurato l’impegno per “combattere l’antisemitismo ovunque e costruire la pace”. Contro la nuova ondata di antisemitismo si è espresso anche il cancelliere tedesco Friedrich Merz che ha dichiarato di “nutrire grandi speranze per il processo di pace“.

Il messaggio del Presidente Mattarella

“L’orrore e la condanna per la violenza crudele e inaccettabile delle armi di Israele, che fa pagare alla popolazione di Gaza un intollerabile prezzo di morte, fame e disperazione, non attenua l’orrore e la condanna per la raccapricciante ed efferata violenza consumata quel giorno da Hamas“, ha sottolineato da parte sua il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, esprimendo “l’auspicio che i tentativi di porre fine a questa inaudita ondata di violenza abbiano al più presto esito positivo”.

Appelli da Spagna e ONU

Il premier spagnolo Pedro Sanchez ha rinnovato la “ferma condanna del terrorismo in tutte le sue forme“, chiedendo “l’immediato rilascio degli ostaggi israeliani” ma anche lo stop del “genocidio del popolo palestinese” a Gaza. Parole alle quali ha fatto eco il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres, che in un messaggio su X ha chiesto “il rilascio degli ostaggi incondizionatamente e immediatamente” e la “fine delle sofferenze per tutti“. “Questa è una catastrofe umanitaria di una portata che sfida ogni comprensione”, ha sottolineato.

Il sostegno degli Stati Uniti e il piano Trump

Dagli Stati Uniti, l’amministrazione Trump ha rinnovato il suo fermo sostegno a Israele e l’impegno per porre fine alle sofferenze di tutti gli ostaggi e delle loro famiglie. Messaggi sono arrivati dal vice presidente JD Vance e dal segretario di Stato Marco Rubio, con quest’ultimo che ha messo l’accento sul piano in 20 punti per Gaza del presidente Donald Trump che “offre un’opportunità storica per chiudere questo capitolo oscuro e per costruire le basi per una pace e una sicurezza durature per tutti”.

Il capo della Casa Bianca, che incontrerà in serata Idan Alexander, l’ex ostaggio israelo-americano rilasciato il 12 maggio scorso, dopo 584 giorni di prigionia, grazie a un accordo tra Hamas e Washington, ha inviato una lettera al Forum dei familiari dei rapiti dicendosi “fermamente determinato a vedere una fine sia a questo conflitto che alle ondate di antisemitismo, in patria e all’estero”.

Il silenzio di Netanyahu

Silenzio da parte del premier israeliano Benjamin Netanyahu: il governo ha deciso di seguire il calendario lunare e commemorare ufficialmente il massacro il 16 ottobre con una cerimonia al cimitero sul Monte Herzl, dopo la festività ebraica di Simchat Torah.

La testimonianza di Eli Sharabi

“Il 7 ottobre, le nostre vite pacifiche e felici si sono trasformate in un inferno: perdita e dolore mi accompagneranno in ogni momento fino al mio ultimo giorno”: a parlare è stato il 53enne Eli Sharabi, liberato lo scorso febbraio per scoprire che gran parte della sua famiglia non c’era più. I terroristi che avevano assaltato la comunità di Be’eri avevano ucciso la moglie Lianne, le figlie adolescenti Noya e Yahel e il fratello Yossi, il cui corpo è ancora nella Striscia.

Loro “sono con me ogni giorno della mia vita, ogni momento, al mio fianco, non al posto della mia vita”, ha sottolineato in un’intervista alla BBC. L’esperienza della prigionia è stata “molto dura” ma “cerco di essere positivo”, ha sottolineato Sharabi, guardando con “speranza” al piano in 20 presentato dal presidente Usa Donald Trump per mettere fine alla guerra e far tornare gli ostaggi.

Negoziati a Sharm el-Sheikh: segnali di speranza

E gli occhi, non solo i suoi, sono puntati su Sharm el-Sheikh, dove sono in corso negoziati indiretti tra Israele e Hamas per concordare i termini per l’attuazione del piano e da dove arrivano “segnali di speranza” che si auspica “si trasformino in risultati concreti, la fine della guerra e la costruzione della pace“, ha sottolineato il ministro degli Esteri Antonio Tajani. Come ha sottolineato il portavoce del ministero degli Esteri del Qatar, Majed al-Ansari, “è troppo presto” per parlare di risultati, “non possiamo parlare di ottimismo o pessimismo”.

“Molti dettagli del piano di Trump richiedono ancora un accordo”, ha aggiunto, facendo riferimento in particolare ai termini sulla “consegna degli ostaggi, il rilascio dei prigionieri palestinesi e l’ingresso degli aiuti” nella Striscia. “Gli incontri continuano. Tutte le parti stanno spingendo per raggiungere un accordo”, ha assicurato Ansari.

Le condizioni di Hamas per Gaza

Fonti rilanciate dai media sostengono che Hamas abbia accettato di consegnare le sue armi a un comitato egiziano-palestinese ma si rifiuti categoricamente di affidare la gestione di Gaza a un comitato internazionale di transizione guidato dall’ex premier britannico Tony Blair. Tra le richieste, ci sarebbe anche la scarcerazione di una serie di esponenti palestinesi di primo piano, a cominciare da Marwan Barghouti, e l’ingresso di 400 camion di aiuti al giorno nella Striscia.

 

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