AGI – Legge elettorale e primarie di coalizione: due nodi sul cammino del centrosinistra ancora lontani dall’essere dipanati. Certo, il tempo sembra essere dalla parte dei leader di riferimento della coalizione: si vota fra due anni, o poco meno, e visti i sondaggi che confermano la buona salute di Fratelli d’Italia, non c’è ragione di sperare in un precipitare della situazione politica. Inoltre, l’ultimo round di regionali ha acceso il dibattito interno al M5S con Chiara Appendino a criticare una linea che la vicepresidente Cinque Stelle vede sempre più appiattita su quella dei dem.
Il presidente Giuseppe Conte ha sottolineato, poco prima del voto, che il sostegno a Eugenio Giani è stato frutto di un lavoro non facile condotto nel territorio, “un percorso faticoso perché”, ha spiegato, “veniamo da un’opposizione chiara, forte e sincera della giunta uscente di Giani. Per noi è stato complicato poter partecipare a questa coalizione e lo abbiamo fatto sulla base di temi e progetti e con un cambio di asse politico e assetti strategici”. Rispondendo, poi, alle accuse mosse da Appendino, Conte ha ricordato nelle scorse ore che dare una postura autonoma al Movimento è esattamente “quello che si sta facendo in ossequio al processo costituente che ha autodefinito il M5S una forza progressista indipendente” che sta in alleanza con altre forze politiche solo in presenza di “programmi chiari, concordati per iscritto, dove i nostri obiettivi strategici sono condivisi”. Resta sullo sfondo la minaccia di dimissioni di Chiara Appendino dalla carica di vicepresidente, arrivata durante l’assemblea congiunta seguita ai risultati in Toscana. Il presidente del Movimento si è detto sorpreso nel leggere le ricostruzioni che parlavano, due giorni fa, di un passo indietro dell’ex sindaca di Torino. “Non ho ricevuto niente”, aveva sottolineato. E comunque, aveva aggiunto, presto si voterà per rinnovare tutta la presidenza del Movimento, vice presidente compresa. Un primo chiarimento è atteso per domani, quando si riunirà il consiglio nazionale M5S per proseguire il confronto politico iniziato all’indomani del voto in Toscana, e al quale Appendino non aveva partecipato.
Il passaggio elettorale in Toscana sembra avere riportato un po’ di calma, invece, in casa dem. A sondare fonti riformiste del Pd, in particolare, emerge una certa qual soddisfazione per alcuni segnali arrivati da Elly Schlein che fanno capire come “alcuni dei messaggi” inviati dall’ala riformista “siano stati recepiti”.
L’apertura al piano di pace in Medio Oriente, ad esempio, così come la mozione sull’impiego di forze di pace sotto egida Onu. Ma anche il riconoscimento arrivato dalla segretaria che l’unità di Pd, Avs e M5S “da sola non basta” e che serve un lavoro nella società, sui temi e i programmi, per allargare il perimetro. “Proviamo a costruire una coalizione che abbia come scopo andare a convincere quel mare di elettori che purtroppo non stanno andando più a votare”, spiega oggi la segretaria: “È lì che bisogna recuperare credibilità con una proposta chiara che parli dei problemi concreti delle persone”.
Da qui a parlare di tregua nel Pd, tuttavia, ce ne passa. Basta leggere le reazioni dei dem allo scontro fra Maurizio Landini, alleato di riferimento di Schlein nel mondo sindacale, e la premier Giorgia Meloni. La frase di Landini su “Meloni cortigiana di Trump” non è stata condannata da Elly Schlein, né dallo stato maggiore del Pd. Solo dopo che il leader Cgil ha ribadito il termine fosse stato utilizzato nell’accezione di “dama di corte” di Trump, Schlein ha contrattaccato: “Landini ha chiarito che non intendeva dare della ‘prostituta’ alla premier. La premier dovrebbe smetterla di fare ogni giorno la vittima e concentrarsi sulle vere vittime di violenza”. Immediata, invece, è stata la condanna di alcuni esponenti riformisti come Filippo Sensi e Pina Picierno. “Penso, e lo dico al segretario della Cgil, che a chiedere scusa si mostri forza e non debolezza, civiltà e non acredine”, scrive Sensi sui social network. “Solidarietà a Giorgia Meloni per le parole offensive pronunciate da Maurizio Landini. Il linguaggio offensivo e sessista non è solo una questione di civiltà, ma un ostacolo concreto alla piena agibilità democratica delle donne nella società italiana”, sottolinea Picierno.
Le regole d’ingaggio per la premiership
Al di là dei problemi interni ai singoli partiti, tuttavia, quello che da qui alla fine della legislatura ci sarà da chiarire saranno le regole d’ingaggio sulla partita della premiership. “Le modalità di questa scelta le decideremo insieme con il resto della coalizione progressista“, ha ripetuto anche oggi Schlein, “che sono molto felice abbia finalmente preso forma. Continueremo a essere testardamente unitari. Finalmente c’è una coalizione progressista pronta a battere le destre le prossime edizioni politiche”.
Legge elettorale e primarie: il nodo cruciale
A determinare le modalità di scelta del candidato premier sarà, però, soprattutto la legge elettorale. Fonti parlamentari del Pd riferiscono che le proposte dei partiti sono in campo, inclusa quella che prevede l’indicazione del candidato o candidata premier sulla scheda elettorale. Ma anche dai leader dei partiti di maggioranza e opposizione arriva qualche indicazione in questo senso: “La riforma dell’indicazione diretta del premier vuol dire che se tu credi in quella squadra, credi in quel partito, voti per quel programma elettorale, quello è'”, sottolinea Matteo Salvini dicendosi favorevole a “una legge elettorale più proporzionale“.
Sottoscrive Carlo Calenda, “servirebbe più proporzionale in modo che le persone possano votare il partito che ritengono e poi si dovrebbe fare un’alleanza sul programma. Invece noi facciamo sempre leggi elettorali che premiano lo scontro frontale”. Una ipotesi, quella dell’indicazione del premier nella scheda elettorale, che renderebbe necessario il ricorso alle primarie di coalizione nel centrosinistra per scegliere chi mandare a Palazzo Chigi. Una soluzione che toglierebbe le castagne dal fuoco a Schlein. La segretaria dem sente le primarie come il campo di gioco a lei più congeniale, essendo riuscita a ribaltare i pronostici durante quelle vinte con Bonaccini.
Diversamente, se la legge elettorale non dovesse essere modificata, a essere indicato quale candidato alla premiership sarebbe il leader o la leader il cui partito ha ottenuti più voti. Schlein si troverebbe nella condizione di dover correre fino alla fine contro Meloni, fuori dal centrosinistra, e contro Conte all’interno della coalizione. Non il migliore dei presupposti per tentare di strappare Palazzo Chigi alla destra. Di fatto, tuttavia, fonti Pd negano ci siano stati contatti fra i partiti. Di più: se contatti dovessero esserci, si ragiona, “saranno solo ai massimi livelli”, cioè fra leader. E questo per una ragione: quando si tocca la legge elettorale, spiega un dirigente dem di lungo corso, si sa dove si comincia e non si sa dove si finisce.