AGI – Esperienza e astrazione, meditazione e distrazione, percezione sensoriale e illuminazione: con ‘Filosofia per passeggeri’ di Michael Marder è appena giunta in libreria una nuova conferma della validità della selezione operata da Touring Club per la collana Arcipelago, lanciata un anno fa per affrontare i nodi della contemporaneità su temi legati a turismo, cultura e cibo.
Professore di filosofia all’Università dei Paesi Baschi di Vitoria-Gasteiz, Marder opera nei campi della filosofia ambientale, del pensiero ecologico, della fenomenologia e teoria politica, ma il suo approccio alla scrittura non spaventa il lettore, pratica l’arte di sedurlo. Il segreto risiede nella capacità di trattare temi ad alto tasso di condivisibilità facendoli improvvisamente trascolorare, senza sforzo, in ben ‘altro’.
In questo caso la sua attenzione si concentra sull’esperienza di essere passeggero, condizione oggi quanto mai comune, che attraversando anche riflessioni socioeconomiche viene però innalzata alle vette atemporali della metafisica. Per farlo, l’autore ci racconta di noi, costantemente transitanti in un mondo in movimento su mezzi di trasporto di ogni genere.
Ma la metafora – non a caso oggetto di un capitolo in quanto veicolo di trasmissione da un ordine di significato a un altro – è il sangue dell’opera. Essere passeggero incarna per Marder un’esperienza universale degna di una guida filosofica, che dopo una fase di ‘pre imbarco’ indirizza lungo una serie di fermate e deviazioni dedicate a temi come tempo, spazio, esistenza, noia, condivisione, solitudine, senso di sé, fino a giungere ad esplorare i concetti di destinazione e destino.
E la fine del viaggio, come del libro, forse ne segna il vero inizio In costante bilico tra perfettamente comprensibile e astratto, Marder regala momenti inaspettati come l’analisi del blockbuster hollywoodiano ‘Passengers’, incentrato su un viaggio interplanetario che supera la durata della vita umana, spiegandoci che l’unica forma di esistenza che abbiamo è una condizione sospesa.
Tra le citazioni letterarie spicca un capitolo dedicato a ‘La freccia gialla’, romanzo del 1993 dello scrittore russo Viktor Pelevin che narra di un treno in viaggio da un luogo ignoto a una destinazione misteriosa, da cui i passeggeri possono scendere solo morti, corpi gettati da un finestrino socchiuso.
Fuori ci sono animali, dei e spiriti: il regno aristotelico di bestie e divinità. Un treno senza meta e perché, di cui non si scorge né inizio né fine, che si fa simbolo – della Rivoluzione Russa, della catastrofe collettiva del crollo dell’URSS, del mondo intero. La straniante conclusione è che per scenderne vivi bisogna capire che il viaggio che intraprendiamo è terminato un attimo prima della nostra partenza, perché il treno dell’esistenza non viaggia in orario, proprio come il tempo.
E l’unico modo di non essere semplici passeggeri è sviluppare consapevolezza. A inframmezzare le suggestioni del testo, un’evocativa serie di eteree immagini tratte dai progetti ‘Arachnophilia’ e ‘Fly with Aerocene Pacha’ dell’artista, architetto e performer argentino Tomàs Saraceno.



