AGI – L’Impero euroasiatico all’ombra del Cremlino è sempre stato da record, dall’eredità spirituale alla nascita dell’autoritarismo, dalla decadenza alla nuova stagione contemporanea del potere muscolare e spregiudicato di Vladimir Putin. La grande madre Russia, zarista prima e poi bolscevica, quindi Unione sovietica e ancora Russia, con la parentesi incolore della Comunità degli Stati indipendenti (CSI) che la vedeva comunque capofila.
L’Urss nasceva ufficialmente il 30 dicembre 1922, sulla scia della guerra civile e delle guerre locali, ma correggendo con la forza le penose mutilazioni della pace di Brest-Litovsk accettate su imposizione degli imperi centrali per poter salvare la rivoluzione di Lenin da nemici interni ed esterni, ripromettendosi però di risolvere in un secondo tempo le questioni rimaste in sospeso. Era il primo Paese socialista al mondo, e di primati ne avrebbe inanellati tanti, alcuni dei quali sopravvissuti alla sua dissoluzione.
Il riconoscimento dell’Italia di Mussolini e il riarmo segreto della Germania
Rispetto all’impero zarista nel 1922 mancavano Polonia, Finlandia e Stati baltici, ma per scelta o grazie all’Armata Rossa ne facevano parte 15 repubbliche, senza più alcuna presenza militare straniera che aveva appoggiato gli eserciti controrivoluzionari. Il regime sovietico, accantonata l’utopia della rivoluzione nell’Europa capitalista, lavorò al consolidamento di Paese-guida del socialismo in attesa di esportare il sistema.
L’ostracismo diretto e indiretto, che veniva espresso anche dal mancato riconoscimento internazionale della nuova realtà statale, venne rotto improvvisamente dall’Italia fascista il 7 febbraio 1924: proprio grazie a Benito Mussolini, l’ex rivoluzionario socialista che in un primo tempo Lenin aveva salutato con speranza e poi ripudiato avendo egli preferito alla dittatura del proletariato quella della reazione borghese.
D’altronde l’Unione Sovietica, proprio per il suo isolamento e per la sua impenetrabilità, aveva segretamente ospitato basi e industrie militari tedesche per eludere tutti i divieti imposti alla Germania con la pace di Versailles, da cui Mosca traeva esperienza per uscire dall’arretratezza tecnologica, in particolare sugli armamenti terrestri e navali. Il riconoscimento del Regno d’Italia aprì la strada alle altre nazioni, ma non allentò il clima di sospetto, soprattutto con la presa del potere da parte di Stalin e la sua sanguinaria gestione del potere.
Dalla nuova politica economica (Nep) di Lenin ai piani quinquennali di Stalin, la Russia e le altre repubbliche dell’impero rosso procedettero a un’industrializzazione forzata a ogni costo e a ogni prezzo, passando disinvoltamente sulle morti per fame della carestia scientifica applicata all’Ucraina (Holodomor), l’eliminazione sistematica degli oppositori anche in base a sospetti e paranoie del capo supremo con fucilazioni sommarie o processi farsa, spostamenti forzati di massa e sostituzione di popolazioni, deportazioni nell’arcipelago dei gulag siberiani e asiatici, utilizzo del lavoro schiavistico nella costruzione delle grandi opere che magnificavano il regime e propagandavano all’estero la superiorità del comunismo sul capitalismo.
Stalin, l’allargamento dei confini e l’egemonia in metà Europa
Nella seconda guerra mondiale nessuno ebbe tanti morti civili e militari come l’Urss: da 18 a 27 milioni, secondo le stime. Il conflitto iniziò però con Stalin dalla parte di Hitler (Patto Ribbentrop-Molotov di spartizione dell’Europa orientale) alla cui macchina bellica assicurò regolarmente le indispensabili forniture fino al 22 giugno 1941, quando l’attacco tedesco provocò lo schieramento dalla parte degli Alleati e la creazione del mito della “Grande guerra patriottica”.
Sconfitto il nazismo Stalin portò l’Unione Sovietica alla sua massima espansione, inglobando Estonia, Lettonia e Lituania, annettendo la Polonia orientale cancellando le conseguenze della Pace di Riga del 1921, e tirando con la forza nel sistema comunista Ungheria, Romania, Bulgaria, Cecoslovacchia, Polonia e anche mezza Germania, quella occupata nella corsa a Berlino e sovietizzata.
La Finlandia, pur con perdite territoriali, era riuscita a rimanere indipendente ma sotto stretta tutela “neutralizzante”, al pari dell’Austria, la cui aquila venne simbolicamente munita di una falce e di un martello stretti tra gli artigli. Il primo riconoscimento del neonato Stato di Israele arrivò proprio da Mosca, nel 1949, perché strumentale ai suoi disegni geopolitici ed egemonici.
La contrapposizione al mondo occidentale sarà consacrata militarmente con la nascita del Patto di Varsavia (1955) che sarebbe intervenuto a Budapest nel 1956 e a Praga nel 1968, quando già Mosca imponeva le condizioni economiche e commerciali ai suoi satelliti in base alle proprie esigenze con il Comecon, istituito nel 1949 in opposizione al Piano Marshall.
La lotta con l’occidente attraverso la Guerra fredda e la corsa allo spazio
Proprio in nome di questa corsa a eccellere, dopo aver azzerato il monopolio americano della bomba atomica con il supporto di scienziati tedeschi e italiani, l’Urss si lanciò nella conquista dello spazio. Arrivò prima degli statunitensi a mandare un essere vivente in orbita attorno alla Terra: la cagnetta Lajka, persa nell’infinito assieme allo Sputnik 2 il 3 novembre 1957.
Sovietici il primo cosmonauta, il leggendario Jurij Gagarin, il 12 aprile 1961 sulla Vostok 1 e la prima passeggiata spaziale con Aleksej Leonov il 18 marzo 1965 sul Voskhod 5, ma sulla luna sbarcheranno gli americani il 20 luglio 1969 con l’Apollo 11 aprendo una nuova era. E a vent’anni dall’impresa Gagarin la missione Space Shuttle, il 12 aprile 1981, mostrò al mondo la superiorità tecnologica degli Usa.
Se la Guerra fredda era giocata come una partita di scacchi tra Boris Spasskij e Bobby Fischer che spezzò un predominio ritenuto inscalfibile, la dottrina militare sovietica era sistematicamente battuta nelle guerre locali in Africa, Medio Oriente e Terzo mondo. Il progetto delle “Guerre stellari” del presidente Ronald Reagan costrinse l’Urss, già strutturalmente minata dalla politica di Mikhail Gorbacev, al collasso, che da economico e ideologico divenne istituzionale dopo il crollo del Muro di Berlino del 1989 e le spallate a tutto il sistema di Solidarność in Polonia. Un’implosione in tutti settori, che seguiva l’umiliante ritirata militare dall’Afghanistan invaso e quella da tutti gli ex Paesi del Patto di Varsavia che ne erano usciti con l’affermazione delle democrazie.
Il crollo del sistema e la rifondazione espansionista di Putin
La CSI fu la foglia di fico per nascondere che la superpotenza Urss che aveva messo paura al mondo non esisteva più. Tutto era in vendita nell’epoca di Boris Eltsin, dai Khalasnikov sulle bancarelle dei mercati ai sommergibili adattati ad abitazione, fino alla selvaggia depredazione delle industrie di stato da parte di ex esponenti del Pcus che sapevano come sarebbe andata a finire e agli arrembanti turbocapitalisti di ultima generazione che sarebbe andati a costituire la casta degli oligarchi organica al nuovo potere.
Vladimir Putin, uomo d’apparato comunista e colonnello del famigerato KGB, aveva conquistato il potere succedendo a Eltsin e l’avrebbe tenuto machiavellicamente, riportando la Russia all’orgoglio di un tempo, i generali al mito della superpotenza e la memoria di Stalin agli altari della patria passata e rinverdita. Illudendo gli occidentali e nascondendo i suoi disegni ricalibrò l’egemonia nell’ex impero con l’intervento in Georgia e tra Armenia e Azerbaijan, e poi aggredendo l’Ucraina per portare la Russia dove c’erano i russi con il sanguinario inganno dell’Operazione militare speciale col pretesto di estirpare il nuovo nazismo. Il resto è storia recente, che si nutre come sempre di quella passata.



