AGI – Passato, presente e futuro di Roma e del mondo: è tutto insieme nel mosaico nell’abside della basilica di Santa Pudenziana in via Urbana, nel rione Monti. Si direbbe il mosaico dell’iperspazio, dove più dimensioni di tempo coesistono nello stesso istante e mostrate insieme. Gli esperti datano l’opera tra il 410 e il 417 d.C. ritenendola nel suo genere la più antica dell’Urbe e modello ispiratore per le successive espressioni artistiche paleocristiane. Ma perché quel pannello di tessere colorate è così straordinario e concentra in sé tre frammenti temporali? Secondo la saggistica, Santa Pudenziana rappresenta gli importanti cambiamenti – storico, sociale e spirituale – che in quell’epoca avvennero nell’impero. Il primo choc è storico. Il periodo “fotografato” è quello di una Caput mundi che non fa più paura a nessuno. Un tempo l’impero terrorizzava ma adesso si sta sbriciolando. Addirittura, Roma è quasi sguarnita. Il giovane imperatore è andato a stare in un’altra città. Per cui l’invasione dei Goti del 410 d.C. non pare solo conseguenza dell’abilità militare di Alarico, ma epilogo di uno sfascio imperiale che è in corso già da tempo. Un caos politico e delle armi che dà una forte spinta al passaggio di autorità dalla spada alla croce. Quindi la svolta sociale.
I Goti (e non solo) non sopportano l’alterigia di Roma. Romani e Greci pensano che solo loro siano “persone” e che gli “altri” invece vadano ritenuti barbari. I cristiani, però, non la vedono così. Il concetto “razzista” non è tra gli insegnamenti di Dio o nelle prediche del pontefice Innocenzo I. Risultato: i Goti depredano la città ma non proprio tutti i luoghi di culto. Un soccorso venuto dal Cielo che l’opera musiva di Santa Pudenziana immortala con la figura di Gesù che tiene nella mano sinistra un libro con la scritta Dominus conservator ecclesiae pudentianae, il Signore conservatore della Chiesa pudenziana. In ultimo, la svolta spirituale.
Il messaggio
L’opera recapita un messaggio e anche un monito: la caducità della vita si può superare solo con l’osservanza delle prescrizioni cristiane e chi deraglia dai binari spirituali andrà incontro alle conseguenze del Giudizio alla fine dei tempi. L’avvertimento è confezionato prendendo in prestito i simboli dal guardaroba imperiale. Al centro dell’immagine c’è Gesù “Pantocratore” (Signore del mondo) sul trono dell’imperatore Costantino. Attorno, nell’esedra sfilano gli apostoli con indosso la toga dei senatori romani. E poi i due gesti del Salvatore. Col primo, solleva la mano destra incitando i fedeli-soldati a farsi avanti. Con l’altro, nella mano sinistra tiene la legge divina che gli uomini avrebbero dovuto rispettare e alla quale ora, alla fine di tutto, dovranno sottoporsi. Alle spalle del Nazareno svetta il Golgota (luogo del suo martirio) sormontato dalla croce gemmata (emblema della redenzione). Sullo sfondo, invece, la Gerusalemme Celeste con le case dai tetti dorati (sinonimo del regno di Dio e della Chiesa). In cielo i quattro evangelisti: l’aquila-Giovanni, il bue-Luca, l’uomo alato-Matteo, il leone-Marco. E infine, in basso, Pietro e Paolo in procinto di essere incoronati da ghirlande di alloro portate da due donne rappresentanti le comunità convertite dagli apostoli, gli ebrei e i pagani.
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