AGI – Oggi sono 100 giorni da Leone per Papa Prevost. Il primo Pontefice americano, che già dal suo iniziale affaccio dalla Loggia delle Benedizioni, l’8 maggio scorso, ha conquistato il mondo parlando di “pace disarmata e disarmante” ed esprimendo una composta commozione, che traspariva dai suoi occhi lucidi. Leone XIV è un Papa schivo, timido, che anche se evita i selfie non rinnega le sue passioni da sportivo ed è ben disposto ad autografare palline da baseball o divise dei Chicago White Sox e di buon grado accetta anche una pizza made Usa.
Pacato, mite ma al tempo stesso determinato sulle linee programmatiche del suo Pontificato, l’agostiniano Leone, abituato a un lavoro di squadra, si trova a gestire una eredità complessa, e si mostra riflessivo e attento a non suscitare polemiche inutili.
Il “bilancio dei 100 giorni”, di solito riservato ai politici, mal si concilia con un Magistero papale. I Pontefici generalmente restano in carica più a lungo e non hanno promesse elettorali da mantenere. Ma nonostante il “basso profilo” adottato da Prevost, tanto che l’interesse mediatico dopo il Conclave pare stia diminuendo, agli occhi degli osservatori più attenti la linea del suo Pontificato appare chiara: ricomporre le fratture, ricucire l’unità della Chiesa. In linea con il motto “In Illo uno unum” (“In Colui che è Uno, siamo uno solo”). Anzi: l’importanza del ministero petrino è sottolineato anche dai gesti, dalla scelta di rispolverare la mozzetta rossa e di tornare in estate a Castel Gandolfo.
E se dopo 100 giorni non ha ancora avviato il ricambio di nomine ai vertici del Vaticano, lui non cede alle pressioni interne e procede con calma e pazienza. Anche sulla Traditionis Custodes, il documento di Papa Francesco che limita la Messa in rito latino, e sul quale in tanti attendono un pronunciamento del nuovo Pontefice, la linea di Leone è prudente: sembra confermare il dietro front di Francesco rispetto alla Summorum Pontificum, ovvero non ripristinando la possibilità per chi chiede tale rito di poter superare l’eventuale no del vescovo locale, cui resta affidata la responsabilità in materia, che Papa Ratzinger aveva in pratica avocato alla Santa Sede stabilendo poi quasi un automatismo a favore di chi richiede queste celebrazioni.
Lo stile di Leone – è apparso subito – è diverso dal suo predecessore Francesco. Se quest’ultimo non amava seguire pedissequamente il protocollo, Prevost ha un approccio più istituzionale, non discostandosi, per esempio, dai discorsi preparati, se non per brevi saluti anche nella sua lingua madre e in spagnolo, “lingua del cuore”, per via della sua ventennale missione in Perù.
Ma alcune priorità del precedente Pontificato sono confermate. In primo luogo la “sinodalità”, per la quale Leone si è impegnato a portare avanti il processo avviato da Bergoglio. Poi la lotta alla pedofilia nel clero: la nomina dell’arcivescovo francese Thibault Verny alla guida dell’organismo vaticano responsabile per la prevenzione degli abusi sessuali, conferma la fermezza della Chiesa riguardo alla tolleranza zero. E ancora: l’apertura di ruoli femminili nella Curia è rimarcata dalla nomina di suor Tiziana Merletti a segretario del Dicastero per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica.
Leone si è già contraddistinto per gli appelli in difesa dei migranti e dei rifugiati, per gli avvertimenti sull’uso dell’Intelligenza Artificiale. E ha già assunto un ruolo attivo di “costruttore di ponti” intervenendo più volte in favore della pace in Medio Oriente o in Ucraina, incontrando Volodymyr Zelensky in Vaticano e avendo un colloquio telefonico con Vladimir Putin.
Sul fronte viaggi, tutto è ancora aperto. Leone ha ereditato un calendario fitto di impegni fino a dicembre per via del Giubileo che non lascia molto spazio alle trasferte internazionali. Molti i bagni di folla, per i grandi eventi dell’Anno Santo, tra i quali spicca il Giubileo dei Giovani alla spianata di Tor Vergata. Il primo viaggio (peraltro già preventivato da Francesco) sarà Nicea, a novembre, in occasione dei 1.700 anni del primo Concilio ecumenico. Una scelta che conferma ancora di più lo stile del Papa del dialogo.