AGI – Dal 2023 il gruppo jihadista Jama’at Nusrat al-Islam wal Muslimin (Jnim), affiliato ad al-Qaeda, ha aumentato in modo significativo l’uso di droni armati nella regione del Sahel. Lo rivela un rapporto pubblicato ieri dal Policy Center for the New South (Pcns), think tank con sede in Marocco, co-redatto dal ricercatore senior Rida Lyammouri e dalla consulente e analista Niccola Milnes. Questo salto tecnologico allarma gli esperti, perché sta indebolendo le strategie antiterrorismo adottate sia dai Paesi colpiti sia dai loro alleati regionali e internazionali. Il documento elenca oltre 30 attacchi confermati in Mali a partire da settembre 2023, l’82% dei quali si è verificato da marzo 2025 in poi.
Gli obiettivi colpiti includono postazioni militari in Mali, Burkina Faso e Togo, e ci sono segnali di un’espansione delle attività anche in Niger e Benin. Tra gli episodi più gravi si segnalano: l’attacco di giugno 2025 a Boulkessi (Mali), in cui sono morti decine di soldati maliani; quello di aprile 2025 in Togo, costato la vita a cinque militari; e l’attacco di maggio a Eknewane (Niger), che ha provocato la morte di 41 soldati nigerini.
Le strategie belliche dei gruppi
Il Jnim non è l’unico attore a utilizzare questa tecnologia: anche il Fronte di Liberazione dell’Azawad (Fla) ha avviato operazioni con droni. Secondo il report, “l’adozione precoce da parte del Fla di droni con decollo e atterraggio verticale (VTOL) e visuale in prima persona (FPV), unita alla possibile condivisione di competenze tecniche tramite operazioni congiunte e all’integrazione di ex membri del Fla, ha probabilmente accelerato le capacità del Jnim nell’impiego dei droni”. Il Jnim utilizza droni commerciali, come i DJI o FPV, modificati per trasportare cariche esplosive. Impiega inoltre algoritmi di intelligenza artificiale offline per ottimizzare le traiettorie di volo ed eludere i sistemi di disturbo elettronico. Gli attacchi vengono filmati e diffusi sui canali social del gruppo jihadista, spesso con l’obiettivo di ottenere visibilità anche oltre la cerchia dei simpatizzanti, alimentando la pressione psicologica sulle forze regolari.
Il ricorso ai droni sembra essere legato anche a dinamiche psicologiche e di propaganda: molte immagini imitano i video diffusi dalle forze governative per ribaltare la narrazione del potere aereo e rivendicare un presunto predominio. Di fronte a questa minaccia, gli eserciti locali risultano impreparati: le capacità di rilevamento sono limitate e le risposte ancora disorganiche. “Il Jnim ha trasformato i droni in strumenti di guerra asimmetrica. Senza una risposta coordinata, la minaccia supererà presto la capacità di controllo degli Stati”, si legge nel report.
Tra le raccomandazioni avanzate dagli autori figurano: la creazione di una task force regionale anti-droni; lo sviluppo di contromisure accessibili, come jammer e decoy; e l’addestramento delle truppe in tecniche di sopravvivenza, come il camuffamento e l’uso di fumogeni. Il Sahel, già epicentro del jihadismo globale, sta dunque affrontando un nuovo salto tecnologico nella guerra asimmetrica. Mali, Niger e Burkina Faso, guidati da giunte militari e uniti nella Confederazione degli Stati del Sahel, hanno annunciato la prossima creazione di una forza congiunta di 5.000 uomini per armonizzare la risposta ai gruppi terroristici armati. Ognuno di questi Paesi ha già acquistato droni armati dal produttore turco Baykar, che vengono attualmente impiegati nelle operazioni militari.