AGI – Il 25esimo anniversario della strage del sottomarino Kursk è passato tra commemorazioni sottotono, il silenzio dal Cremlino e un’opinione pubblica che ha ormai dimenticato quella che è stata la prima grande sfida per Vladimir Putin e anche la pietra tombale della stampa indipendente in Russia.
Commemorazioni si sono tenute a San Pietroburgo, da dove venivano la maggior parte delle vittime, e nella regione di Murmansk, dove il sottomarino fu schierato per l’ultima volta.
La tragedia del K-141 Kursk
Il K-141 Kursk della Flotta del Nord affondò nel Mare di Barents il 12 agosto 2000, durante un’esercitazione. L’esplosione di un siluro, avvenuta durante i preparativi per un attacco simulato, causò il naufragio, in cui persero la vita tutti i 118 membri dell’equipaggio. Il Kursk fu recuperato nel 2001 e portato nello stabilimento di Roslyakovo e successivamente all’impianto di manutenzione navale Nerpa a Snezhnogorsk per la demolizione. L’unica parte rimasta intatta fu la torre di comando, installata poi a Murmansk.
L’oblio e le reazioni mancate
La strage di militari più grave vissuta dalla Russia non in tempo di guerra è in un certo senso svanita dalla memoria collettiva, a causa della sua persistente assenza nei notiziari della tv di Stato e nelle dichiarazioni ufficiali. Un sondaggio condotto dal centro demoscopico Levada già 10 anni fa, aveva rilevato che la percentuale di russi che ritenevano che le autorità avessero fallito nella loro risposta alla crisi si era più che dimezzata.
Il silenzio di Putin e le critiche
Il tenore delle commemorazioni di oggi è in linea con il silenzio scelto dal presidente russo Vladimir Putin, che non ha mai partecipato ad alcuna commemorazione della tragedia. Quell’agosto di 25 anni fa, nei primi mesi della sua presidenza, finì nel mirino delle critiche di familiari e media per la gestione della crisi: lenta, opaca, senza empatia.
La Russia non gli perdonò il rifiuto iniziale di aiuti stranieri che avrebbero potuto salvare i marinai. Sebbene il sottomarino fosse stato localizzato sul fondo del mare nelle prime ore del 13 agosto, il Cremlino impiegò altri cinque giorni per dare il via libera all’operazione di salvataggio internazionale. Solo il 16 agosto, quando fonti ufficiali riconobbero che l’equipaggio non dava più segni di vita, Mosca acconsentì all’avvio di un’operazione di salvataggio internazionale da parte della Nato. Il 21 agosto, una squadra di sommozzatori norvegesi riuscì ad aprire uno dei portelli, ma trovò solo acqua. Solo allora la Marina russa annunciò ufficialmente la morte di tutti i 118 membri dell’equipaggio.
Controllo dei media e accentramento del potere
Nell’agosto del 2000, le tv che oggi celebrano Putin erano di proprietà di privati e in molte occasioni davano una copertura molto critica del suo governo. Il Primo Canale, all’epoca di proprietà del defunto oligarca Boris Berezovsky, trasmetteva incessanti reportage sulla risposta inadeguata delle autorità e paragonava la gestione del disastro del Kursk all’incidente della centrale nucleare di Chernobyl del 1986.
Quando Putin visitò finalmente la città militare chiusa che fungeva da porto, da dove era partito il Kursk, parlò a una sala gremita di parenti in lutto ben 10 giorni dopo la catastrofe; diede la colpa al declino economico e militare della Russia nel decennio post-sovietico, cioè prima della sua ascesa al potere, e denunciò i media che avevano criticato duramente la sua risposta goffa alla crisi. “Hanno comprato i media e ora stanno manipolando l’opinione pubblica”, disse riferendosi a Berezovsky e ad altri potenti magnati del settore.
Nei mesi successivi, il Cremlino avrebbe portato il Primo Canale sotto il controllo dello Stato – costringendo Berezovsky a vendere la sua quota e poi a fuggire dalla Russia – e avrebbe sequestrato il canale Ntv a un altro magnate dei media, Vladimir Gusinsky, anche lui poi emigrato. Putin avrebbe, infine, avviato un importante programma per rilanciare l’esercito, incrementando la spesa per la difesa e attirandosi accuse di fare marcia indietro sulla democrazia, mentre si muoveva per istituire un sistema politico centralizzato, diventato in 25 anni sempre più autoritario.