giovedì, Giugno 5, 2025
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Cosa resta del ciclo di Inzaghi all’Inter

AGI – Un finale da incubo, una rosa sempre più logora, e i saluti, stavolta definitivi, di Simone Inzaghi. Alzi la mano chi, a gennaio, avrebbe previsto un epilogo simile per l’Inter. Eppure, riguardando questa stagione fotogramma dopo fotogramma, i segnali c’erano tutti: scricchiolii, difficoltà, trofei nelle mani di avversari e rivali. Un lento, e inesorabile, sgretolarsi di certezze. Con la sconfitta di Bologna, il 20 aprile, che aveva fatto salire l’ansia tra i tifosi, impauriti dalla possibilità di perdere lo scudetto, e la vittoria contro il Barcellona, in semifinale di Champions, che aveva illuso l’ambiente. Che il ciclo nerazzurro fosse agli sgoccioli era chiaro da tempo. Ma lo zero in bacheca alla voce ‘coppe vinte’ ha impresso un’accelerazione brutale.

Inzaghi se ne va. Destinazione Arabia Saudita. Una scelta che lascia l’amaro in bocca, anche ai non simpatizzanti nerazzurri. Perché Simone Inzaghi, al netto di critiche e limiti, è stato un allenatore solido, appassionato, capace di far vincere e giocare bene. Qualità che ammiri anche se rappresenti le parti avverse. Che servisse una riflessione in casa Inter, dopo una stagione del genere, era inevitabile. Ma era necessario cambiare anche il tecnico? No, probabilmente no. Ed è qui che si capisce, forse, quanto abbia contato la volontà del tecnico di accasarsi altrove.

I social riflettono lo smarrimento di queste ore, tra chi si aspettava questo epilogo e chi, invece, sperava in una nuova intesa, come accaduto a Napoli, con Antonio Conte. Scorrendo i messaggi si capisce come, in fondo, Inzaghi sia stato divisivo. C’è chi accusa i petroldollari, tentazione cui è ormai più difficile resistere (vedere alla voce Mancini o Pioli). Chi parla di fuga dalla tempesta. E chi, con lucidità, ringrazia l’allenatore per quanto fatto: se rivoluzione deve essere, che sia totale.

Il messaggio di addio

 “Cara famiglia nerazzurra, è venuto per me il momento di salutare questo Club dopo un percorso di quattro anni, durante i quali ho dato tutto”. Inizia così il messaggio di commiato dell’allenatore piacentino. “Ogni giorno ho dedicato all’Inter il mio primo e ultimo pensiero della giornata. Sono stato ricambiato con professionalità e passione da calciatori, dirigenti e da ogni singolo dipendente del club. I sei trofei conquistati, tra cui lo scudetto della Seconda Stella, unitamente al percorso in Uefa Champions League nel 2023 e pochi giorni fa, sono la testimonianza tangibile di quanto il mio lavoro sia stato supportato da una comunione d’intenti con il mio staff e con ogni componente dell’Inter”. 

“Ringrazio gli azionisti per la fiducia che non è mai mancata, il Presidente e i suoi collaboratori per l’aiuto e il dialogo quotidiani. In una giornata difficile come quella di oggi penso sia giusto ribadire questo senso di gratitudine anche per il confronto che si è concluso poco fa. Siamo stati sinceri e abbiamo insieme deciso di concludere questo magnifico percorso. Un’ultima parola la voglio dedicare ai milioni di tifosi nerazzurri che mi hanno incitato, hanno pianto e sofferto nei momenti difficili e hanno riso e festeggiato nei sei trionfi che abbiamo vissuto insieme. Non vi dimenticherò mai. Forza Inter”, conclude il comunicato. E rimane la curiosità di sapere se, quella di oggi, sia stata una scelta maturata nel tempo o una deflagrazione emotiva causata dal sorpasso partenopeo e dalla manita blaugrana.

Un ricco percorso

La separazione tra Inzaghi e l’Inter è arrivata di comune accordo, ma già con lo sguardo rivolto al passato. In quattro stagioni, il tecnico ha portato in bacheca sei trofei: uno scudetto, due Coppe Italia, tre Supercoppe Italiane. Un bottino che la società celebra come essenziale per riportare il club “ai vertici del calcio italiano ed europeo”. Non solo: con oltre 200 panchine, Inzaghi entra nella storia dell’Inter, alle spalle solo di leggende come Herrera, Mancini, Trapattoni e Mourinho.

A chiudere il cerchio ci ha pensato il presidente Marotta: “Soltanto chi ha combattuto ogni giorno per il successo può permettersi un confronto franco e sincero come quello di oggi”, ha detto. “A nome del club e dell’azionista Oaktree, ringraziamo Inzaghi per la passione, il lavoro e la lealtà dimostrata in questi anni”.

Le ombre

Ma non è tutto rose e fiori. Inzaghi lascerà un buon ricordo a Milano, ma non una standing ovation. Anche nel giorno dell’addio, i critici più severi tornano su due punti fermi:

  • Aver conquistato solo uno scudetto in quattro stagioni, lasciando strada a Milan e Napoli;
  • Aver perso due finali di Champions League, molto diverse tra loro, ma entrambe con l’impressione che si potesse fare di più.

Insomma, l’Inter di Inzaghi ha vinto, ha giocato bene, ha mostrato solidità. Ma nei momenti decisivi, quelli che fanno la differenza tra un buon ciclo e una cavalcata storica, è spesso mancata la lucidità per completare quanto costruito.

Una nuova era

Non ci sarà tempo per rifiatare. Simone Inzaghi è già atteso da una nuova sfida: il Mondiale per club con l’Al Hilal, con un debutto da brividi fissato per il 18 giugno contro il nuovo Real Madrid di Xabi Alonso. Un battesimo tra i più affascinanti possibili.

E l’Inter? Anche in viale della Liberazione il tempo stringe. Tra una settimana, giorno più giorno meno, la squadra partirà per la tournée estiva negli Stati Uniti. E su quell’aereo dovrà esserci anche il nuovo allenatore. Il nome più caldo è quello di Cesc Fàbregas, ma sul tavolo restano diverse alternative, alcune tutt’altro che scontate.

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