AGI – La netta vittoria di Donald Trump alle presidenziali non ha messo sulla graticola solo i Democratici, ma sondaggisti e guru delle previsioni. I primi due nomi finiti nel mirino sono quelli dello storico Allan Lichtman, considerato il “Nostradamus” delle previsioni per aver indovinato tutti i risultati delle presidenziali negli ultimi quarant’anni, tranne quella, decisa all’ultimo voto, del 2000 tra Al Gore e George W. Bush, e il ‘guru’ delle previsioni, il politologo Nate Silver. Entrambi avevano pronosticato la vittoria di Kamala Harris. Lichtman ha ammesso pubblicamente di aver sbagliato, ma chiamando in causa il rivale: “A differenza di Nate Silver – ha dichiarato il professore – che cercherà di evitare di dover spiegare perché non ha capito cosa stava succedendo, io ammetto di essermi sbagliato”. Silver, alla guida del sito di sondaggi più seguito d’America, FiveThirtyEight, per settimane aveva detto che la sfida tra Harris e Trump sarebbe stata come “lanciare la monetina”, vista la grande incertezza, ma alla vigilia del voto aveva indicato la vicepresidente come la probabile vincitrice.
In realtà non solo Harris non ha vinto, ma non c’è stato neanche un testa a testa, visto che Trump ha conquistato tutti e sette gli Stati chiave e ha preso anche più voti dell’avversaria nel conteggio globale. Anche i sondaggisti sono franati: per mesi i vari istituti hanno stordito milioni di americani con dati sulle sfide Stato per Stato e sul voto popolare, disegnando un Paese che stava andando in realtà da un’altra parte.
Dall’Ipsos/Reuters al Research Co, dall’Emerson College/The Hill al Washington Post, dal Des Moines Register/Mediacom al New York Times/Siena College, nessuno ha fotografato il vero stato del Paese. In un servizio di Msnbc a poche dall’apertura dei seggi, una ventina di “esperti” aveva fatto la sua previsione: giornalisti, conduttori di podcast non avevano avuto dubbi, “Trump avrebbe dichiarato la vittoria in anticipo per confondere le acque, ma poi avrebbe vinto Harris”. Secondo alcuni, “con un’onda blu di voti”.
Anche le analisi pubblicate sui media sono apparse un po’ pasticciate, come quella, pubblicata l’8 ottobre, dall’analista Nate Cohn che sul New York Times aveva fatto una lunga analisi sul voto, ma sbagliando i conti, a partire dalla differenze tra due percentuali di elettori: per lui tra 55 e 41 c’erano 13 punti. Una persona più attenta avrebbe indicato in 14 la differenza giusta. Ma la confusione e la sciatteria delle analisi è sembrata la punta dell’iceberg del business dei sondaggi: a ogni elezione milioni di americani hanno guardato ai numeri e si sono basati su quelli. Ogni nuovo rilevamento ha attirato click, finendo però per allontanare i “lettori” dalla percezione reale degli “elettori”.
A rendere più clamoroso il fiasco dei sondaggi è stato anche il fatto che questa non è la prima volta che gli istituti sbagliano previsioni: nel 2016 il New York Times annunciò, alla vigilia del voto, che Hillary Clinton aveva il 91 per cento di possibilità di vincere contro il 9 per cento di Trump, che poi vinse con una valanga di voti come quest’anno. L’elettorato del tycoon è sempre stato sottostimato.
Anche quattro anni fa Joe Biden venne dato dal sito FiveThirtyEight, che tracciava la media dei sondaggi, avanti di 9 punti su Trump, per poi vincere con circa la metà del distacco previsto. Inoltre il candidato Democratico era dato avanti nettamente in Arizona e Georgia, dove aveva vinto per poche migliaia di voti, e avanti in North Carolina e Florida, dove aveva poi perso. Questa volta, proprio per le dimensioni del risultato e il clamoroso flop, gli americani potrebbero cominciare a non prendere più i sondaggi come documenti scientifici. Gli analisti come Silver verranno visti con meno fiducia. E forse al Nostradamus delle elezioni, il professor Licthman, non verrà chiesto di indicare un vincitore in base al suo modello di previsione. O se succederà, gli americani sono avvertiti: non fidatevi troppo, perché i cosiddetti esperti americani probabilmente ne sanno quanto voi.