AGI – Luca Attanasio, giornalista italiano freelance esperto di Africa e di immigrazione, si appresta a fare un nuovo viaggio sul continente giovane che tra qualche giorno lo porterà in Mali per dar voce a chi non ha voce: le mamme dei migranti. Sono anche loro parte integrante del fenomeno, ma sono sempre inascoltate, mai (o quasi) prese in considerazione dai media e da altri osservatori. Anche le mamme africane, a modo loro, pur rimanendo a casa, compiono quei viaggi pericolosi e carichi di incognite assieme ai propri figli. Per loro sono viaggi carichi di terribili angosce, preoccupazioni, frustrazioni, sensazioni di non essere buoni genitori, timori nel caso i figli scappino da regimi totalitari di venire targettizzati.
“Proviamo a pensare per un momento a un nostro figlio, magari adolescente, in viaggio da solo o con amici. Se appena atterrato, oppure al termine di un percorso in macchina o nel corso di un tragitto in treno, non ci mandasse un Whats App rassicurante o non ci facesse giungere la conferma che tutto procede per il meglio, entreremmo in uno stato di prima agitazione. Se malauguratamente passasse del tempo dall’arrivo previsto senza aver ricevuto segnali, si innescherebbe in famiglia un vero e proprio panico”, racconta all’AGI Luca Attanasio, omonimo del giovane ambasciatore drammaticamente ucciso nell’est della Repubblica democratica del Congo nel 2021.
“Immaginiamo ora di essere madri, padri, nell’altro emisfero del mondo e di avere un nostro figlio che, per un conflitto scoppiato nell’area dove viviamo, per un disastro ambientale, a causa di persecuzioni o ‘semplicemente’ per povertà, sia forzato a migrare. Il suo viaggio non avverrà su voli di linea, su treni, né su autoveicoli e strade normali, ma si svolgerà su jeep stracariche fino all’inverosimile. Nel suo percorso verso un’Europa trasformatasi ormai in fortezza, il nostro ipotetico figlio sarà in mano a trafficanti di esseri umani senza scrupoli, subirà con certezza violenze e potrà con alta probabilità morire”, prosegue il giornalista. In tutto questo lasso di tempo, che può anche dilatarsi per anni, le possibilità di comunicare con le famiglie sono estremamente ridotte. E noi, ipotetici padri e madri, resteremmo senza notizie, telefonate, messaggi Whats App, per tempi infiniti. Ma potremmo anche non riceverne mai.
Secondo fonti concordanti, sarebbero oltre 32.000 le persone morte o disperse nel Mediterraneo dal 2014 a oggi, senza contare quelle che muoiono prima di imbarcarsi. Nel dibattito sul fenomeno delle migrazioni, così spesso strumentalizzato e poco compreso, la voce di chi resta a casa, sospeso in attesa di notizie, manca totalmente. Da tutte queste considerazioni è nato ‘Mums’, un progetto giornalistico ideato da Attanasio che punta a gettare nel dibattito una prospettiva diversa, quella delle mamme dei migranti, con i loro sentimenti, le insonnie di mesi in attesa di una telefonata e, spesso, in assenza di notizie, il convincimento che i propri figli siano morti. ‘Mums’ vuole contribuire a una umanizzazione del fenomeno e restituire carne e cuore a ragazzi, a volte bambini, che partono, dietro a cui ci sono affetti, amori, sentimenti, angosce, oltre a tanta bellezza.
Il progetto consiste in una raccolta di testimonianze di ‘mamme’ di paesi diversi del continente africano. A loro vengono girati microfono e cinepresa al fine di renderle protagoniste di una loro narrazione: cosa è successo nel periodo pre-viaggio, come hanno vissuto il periodo del viaggio, come procede l’organizzazione della vita senza un figlio? E poi se quella fatidica ‘telefonata’ (positiva o non) è arrivata, oltre alle ansie per l’integrazione e il successo del progetto migratorio del figlio, l’attesa delle rimesse, i pianti, le angosce, la felicità di rivederli dopo anni quando i figli hanno ottenuto un permesso o uno status. Insomma dare voce e volto all’umanità vera, senza finzioni, delle centinaia di migliaia di migranti e delle centinaia di migliaia di loro cari.
La prima missione di ‘Mums’ si è svolta in Gambia nel settembre 2024 con la collaborazione di Irpi Media e grazie al finanziamento del Coordinamento Nazionale Comunità per Minori (Cncm). In quella occasione sono state intervistate quattro mamme di altrettanti ragazzi giunti in Italia negli anni scorsi, e attualmente residenti e lavoratori nel nostro Paese. Sono stati pubblicati molti articoli su tanti organi di stampa ed è stata prodotta una prima video-clip.
La seconda missione per la quale si stanno reperendo fondi, si svolgerà in Mali a settembre del 2025 grazie all’organizzazione di Abarekà Nandree, una organizzazione di volontari da molti anni impegnata in Mali sul fronte dell’empowerment femminile, che coinvolgerà mamme di ragazzi dispersi, morti o di cui non si hanno più notizie.
Da 15 anni Attanasio dedica buona parte del suo lavoro giornalistico al fenomeno delle migrazioni forzate, durante i quali si è imbattuto in tantissime storie di ragazzi e ragazzi in viaggio verso la sponda nord o est del Mediterraneo. Molti di loro, specie i più giovani, nei loro racconti di migrazione, facevano spesso riferimento alle proprie madri (anche ai padri). Il rapporto struggente, la malinconia, la profonda solitudine, la sensazione di vuoto senza la presenza protettiva della mamma, il timore di deluderla, di darle preoccupazioni, emergevano spesso come parte determinante della loro esperienza migratoria. “In alcuni casi, i ragazzi con cui sono rimasto in contatto, hanno parlato di me alla mamma o mi ci hanno messo in contatto sebbene a distanza”, racconta ancora Attanasio, autore del libro “Il Bagaglio. Storie e numeri del fenomeno dei minori stranieri non accompagnati”.
Per sostenere il progetto ‘Mums’, a cominciare dalla prossima tappa in Mali, è possibile attraverso il crowdfunding https://www.paypal.com/pools/c/9hEBMFVyil.