AGI – “Odio il politicamente corretto, lo vedo come una costrizione, una barriera. è finto… Odio il mainstream”. L’amministratore delegato di Eni Claudio Descalzi confessa al Financial Times di rigettare da tempo il pensiero conformista incontrato in Europa. E in un’intervista svela molti aneddoti della sua carriera e della sua vita personale. “Dici quello che dicono tutti, e se non lo fai non sei nel club giusto. Questo è un modo per restare fermi. Una scatola vuota, un concetto vuoto. Nella vita bisogna mettere tutto in discussione”, dice.
Negli anni ’90, mentre infuriava la guerra civile nella Repubblica del Congo, racconta Descalzi, l’allora manager 41enne dormiva sotto al letto insieme alle sue figlie, per evitare di essere colpito da colpi da arma da fuoco durante la notte. “Mia moglie era incinta. Fortunatamente riuscì a lasciare il Paese. Io rimasi bloccato con le mie due bambine“, racconta. Passarono due anni prima che rivedesse l’Italia. “Ero responsabile degli espatriati rimasti lì. In quelle circostanze, l’ultima cosa a cui pensi è il cash flow o le operazioni”. Non era il primo difficile incarico all’estero per Descalzi, oggi alla guida di Eni da undici anni.
Entrato in azienda dopo una formazione da fisico, Descalzi scoprì presto di avere gusto per l’avventura e sangue freddo nei “momenti molto complicati”: era in Libia nel 1986 durante i bombardamenti statunitensi su Tripoli e Bengasi ed era responsabile dell’esplorazione nel 2006 quando dei rapinatori armati assaltarono una consociata Eni a Port Harcourt, in Nigeria, causando diverse vittime. “Sono esperienze che ti segnano molto”, dice ricordando quindi la povertà estrema e la disperazione di chi era intrappolato nella violenza. “Non hanno soldi, nè sicurezza, nè istruzione, e sono persi. Quando ci sono problemi, nessuno si prende cura di loro. E’ stata una grande lezione per me quando ero molto giovane”, dice.
La sfida climatica
Dopo 18 anni all’estero, perlopiù in Africa, oggi Descalzi divide il suo tempo tra le sedi Eni di Roma e della sua città d’origine Milano. Come molti suoi colleghi, Descalzi contesta la narrazione che dipinge le grandi compagnie petrolifere come le principali nemiche del progresso climatico. “Credo che il cambiamento climatico sia un grande problema da risolvere. Ma se per affrontarlo la prima cosa che fai è cercare un nemico, allora credo che tu non voglia davvero risolverlo. Vuoi solo trovare un nemico”, sottolinea. E a suo giudizio, se davvero il mondo vuole andare oltre i combustibili fossili – che ancora forniscono l’80% dell’energia globale – non spetta solo alle aziende smettere di produrli, ma anche ai consumatori smettere di usarli. E pensa che questo sia improbabile, soprattutto nel Sud del mondo. “L’Europa pensa che il mondo sia come l’Europa. Ma non è così” evidenzia ricordando che il Vecchio Continente rappresenta solo il 5% della popolazione mondiale”.
L’ad della società petrolifera racconta poi di aver iniziato a riflettere seriamente sul cambiamento climatico dodici anni fa – prima dell’Accordo di Parigi del 2015 per cercare di limitare il riscaldamento globale e prima di diventare amministratore delegato – spinto non tanto dall’ambientalismo ma dall’economia.
L’importanza di diversificare
A suo avviso, il settore petrolifero alterna lunghi periodi di stabilità a shock improvvisi. La sua nomina a CEO nel maggio 2014 avvenne proprio mentre si verificava uno di questi shock: una guerra di quote di mercato tra Arabia Saudita e Stati Uniti fece crollare i prezzi del greggio del 70% all’inizio del 2016. All’epoca, dice, i profitti di Eni dipendevano per “oltre il 100%, forse il 110%” da petrolio e gas, poichè altri business erano in perdita. Decise quindi che l’azienda doveva diversificare. E in questa direzione, la transizione energetica è stata “utilissima”, perchè ha obbligato l’azienda a reinventarsi, slegarsi dalle proprie radici e affrontare un futuro di calo delle entrate da petrolio e gas. “Nella vita, devi soffrire per crescere. Devi cambiare pelle, muscoli, scheletro, ossa. Devi evolverti continuamente mentalmente per gestire te stesso, la tua squadra e il futuro della tua azienda”, commenta.
Molti concorrenti hanno optato per fusioni, acquisizioni e tagli drastici ai costi, ma Descalzi ha seguito una strada diversa. Ha potenziato la ricerca e sviluppo, commissionato un potente supercomputer e ha puntato su scienziati e ricercatori universitari. “Ci serviva una tecnologia che guardasse al futuro”, spiega. “Volevo avere tutti gli strumenti in mano per poter essere flessibile – prosegue – capire come potermi sganciare da petrolio e gas”.
Mentre altri esternalizzavano, osserva il quotidiano, lui riportava competenze all’interno. E ha raddoppiato gli sforzi nell’esplorazione, proprio mentre altri li riducevano. “In generale, le aziende energetiche non amano l’esplorazione perchè il rischio è molto alto. In media, il 70-80% degli investimenti viene svalutato”, afferma aggiungendo: “Ma a me piace andare dove c’è meno concorrenza”.
I momenti turbolenti
Ci sono stati poi molti altri momenti turbolenti. Dal 2014, ricorda FT, Descalzi ha guidato Eni attraverso altri crolli del prezzo del petrolio, le crescenti tensioni tra USA e Cina, la pandemia di Covid-19, l’invasione russa dell’Ucraina, l’aumento dell’inflazione e ora i nuovi conflitti in Medio Oriente. Mentre molti colleghi europei hanno faticato ad affermarsi nel settore dell’energia pulita, Descalzi è rimasto fedele alla sua strategia. Eni ha accorpato i business più orientati al futuro, come le bioraffinerie, con asset che generassero cassa, come le stazioni di servizio. Il risultato: unità ESG-friendly ma al contempo redditizie, che hanno attratto l’interesse di fondi di private equity come KKR con valutazioni superiori alle aspettative.
Il futuro di Descalzi
Alla domanda di Ft su quanto resterà ancora alla guida della società, Descalzi risponde che “siamo in una situazione volatile, e non è facile cambiare leadership molto spesso. Ma ovviamente – aggiunge – un Ceo non può restare per sempre”. Secondo l’ad bisogna avere una motivazione, una visione del futuro: “La mia – spiega – è stare fuori dal mainstream. Possiamo rompere la superficie e crescere solo se abbiamo persone capaci di fare le cose in modo diverso”. Nell’intervista, il numero uno di Eni svela anche particolari della sua routine quotidiana, dettagli semplici di vita: “Mi sveglio molto presto, verso le 5 o le 6 del mattino, perchè voglio prendermi il tempo per carburare, e la prima cosa che faccio è leggere i giornali, lo trovo rilassante. Non leggo solo notizie energetiche. Leggo tutto ciò che riguarda la geopolitica e quello che succede nel mondo, perchè siamo presenti in molti Paesi, circa 60, ed è importante avere una visione ampia”.
La giornata tipo
E ammette: “Ho bisogno di una routine: per me è come una guida, un modo per restare saldo dentro. Non mangio molto la mattina, prendo un caffè e poi vado in ufficio di solito verso le 7.30-7.45, perchè voglio arrivare prima degli altri per approcciare la giornata ed esser pronto. E’ una vecchia abitudine. Cerco di allenarmi ogni giorno, che sia a casa o in viaggio. E’ probabilmente la mia abitudine più costante: faccio pilates e, quando posso, amo camminare”.
Ora l’ad rivela di viaggiare meno di prima: “Una volta arrivavo a 1.200 ore di volo all’anno, ora sono più o meno 600-700. Sono voli a lungo raggio, in Paesi come Mozambico, Angola, Indonesia. è importante andare a vedere di persona se le cose sono davvero come te le raccontano”. Se non è in viaggio e non ha un pranzo di lavoro, il manager afferma di mangiare “qualcosa di sano” in ufficio. Poi, “cerco di finire entro le 19 e tornare a casa per cenare in famiglia o rilassarmi guardando sport. Ho una grande passione per le moto – rivela – sia per guidarle che per seguirne le gare”.