venerdì, Dicembre 5, 2025
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Eurovision 2026, quanto costa il boicottaggio anti-Israele

AGI – La decisione di mantenere Israele in gara all’Eurovision 2026 sta presentando il conto in termini di ascolti. La defezione di Spagna, Paesi Bassi, Slovenia e Irlanda dal concorso e dalle sue trasmissioni televisive significa, numeri alla mano, una perdita immediata di quasi dieci milioni di spettatori rispetto alla finale 2025. E il conto potrebbe salire ancora, se altri Paesi seguiranno la stessa strada.

Il colpo più duro arriva da Madrid. La Radiotelevision Española (Rtve) ha annunciato che non parteciperà all’Eurovision 2026 e soprattutto che non trasmetterà né le semifinali né la finale del prossimo maggio a Vienna, in protesta per la decisione dell’Unione Europea di Radiodiffusione (EBU) di mantenere Israele nel concorso.

L’impatto numerico: quasi 10 milioni di spettatori persi

Solo nel 2025, la finale aveva raccolto in Spagna 5,88 milioni di spettatori: la terza audience più grande d’Europa, dietro a Germania e Regno Unito. Alla defezione spagnola vanno aggiunti i numeri degli altri Paesi che hanno scelto di non prendere parte all’edizione 2026 e di non mandarla in onda: Paesi Bassi (3,5 milioni), Irlanda (268 mila) e Slovenia (150 mila). Sommati ai 5,88 milioni spagnoli, si arriva a circa 9,8 milioni di spettatori in meno rispetto alla finale 2025.

 

 

Per dare un’idea del peso di questa cifra: l’EBU ha comunicato che l’edizione 2025 è stata seguita complessivamente da 166 milioni di persone nel mondo. L’assenza di questi quattro mercati significherebbe già una perdita di circa il 6% del pubblico potenziale. Questo calcolo è prudente, poiché considera solo le platee che scompaiono perché le TV pubbliche non trasmetteranno l’evento. Non è escluso che, anche in altri Paesi, una parte del pubblico decida di disertare il festival per le stesse ragioni politiche. La frattura rischia di allargarsi: l’emittente pubblica islandese prenderà una decisione il 10 dicembre.

Le conseguenze economiche e la crisi dei “big 5”

Il problema non è solo politico, ma anche economico. La protesta indebolisce un format che ha puntato sull’idea di “evento globale” e colpisce direttamente le finanze dell’organizzazione. La Spagna non è solo un grande mercato televisivo: è anche uno dei famosi “Big 5”, il gruppo di Paesi che contribuisce maggiormente al bilancio dell’EBU e che, in cambio, ha garantito l’accesso diretto alla finale.

Gli altri quattro Big 5 sono: Germania (9 milioni di spettatori nel 2025), Regno Unito (6,7 milioni), Francia (5,2 milioni) e Italia (4,7 milioni). La defezione di uno dei Big 5 pesa su tre fronti: perdita di audience, perdita economica in termini di contribuzione al sistema Eurovision e perdita simbolica, poiché la compattezza del gruppo di punta viene incrinata. Se la frattura dovesse contagiare altri grandi mercati, il modello attuale del festival, costosissimo nella produzione, potrebbe ritrovarsi sotto pressione.

Intrattenimento e geopolitica: il banco di prova del 2026

Negli ultimi anni, Eurovision si è venduto come una grande festa pop, inclusiva e politicamente “soft”, capace di sopravvivere alle tensioni internazionali grazie al filtro della musica e dello spettacolo. La crisi aperta dalla partecipazione di Israele e dal boicottaggio di alcuni Paesi mostra però che il confine tra intrattenimento e geopolitica è sempre più labile.

Dal punto di vista degli ascolti, il festival del 2026 rischia di essere il primo vero banco di prova di questa tensione. Resta da vedere se l’Eurovision riuscirà a compensare questa emorragia di pubblico con nuovi mercati, con un aumento del pubblico in streaming o semplicemente facendo leva sulla fedeltà degli appassionati storici.

Il direttore, “spero che nel 2027 ritornino i Paesi anti-Israele”

All’edizione 2026 dell’Eurovision dovrebbero partecipare “circa 35 emittenti”. Quanto ai “circa cinque” Paesi “fortemente convinti” che Israele non debba esserci, “nutro il mio pieno rispetto per questo” e “spero vivamente che quelle poche emittenti che ritengono di non poter essere presenti l’anno prossimo tornino da noi nel 2027”. Lo ha dichiarato il direttore del concorso, Martin Green, all’emittente pubblica Swedish Television dopo la decisione del Consiglio dell’Unione europea di radiodiffusione (Ebu) che ha dato il via libera alla partecipazione nel 2026 di Tel Aviv, contro la quale si erano schierati alcuni Paesi. La competizione canora dovrebbe essere apolitica, ha aggiunto Green, ricordando che “non sono i governi a partecipare all’Eurovision, ma le emittenti di servizio pubblico e gli artisti”.

Nella riunione di giovedì “ciò su cui (i membri) hanno veramente convenuto è la convinzione che l’Eurovision Song Contest non debba essere usato come teatro politico, deve mantenere un certo senso di neutralità”. Le emittenti di Spagna, Irlanda, Paesi Bassi e Slovenia hanno già annunciato il boicottaggio della prossima edizione di Eurovision, mentre l’Islanda ha dichiarato che sta valutando la sua posizione e che prenderà una decisione il 10 dicembre. La diffusa opposizione alla guerra a Gaza ha portato a crescenti richieste di esclusione di Israele dal concorso annuale. A pesare anche i sospetti che ci sia stata una manipolazione del sistema di voto a favore di Tel Aviv durante l’evento dell’anno scorso.

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