sabato, Dicembre 27, 2025
spot_imgspot_imgspot_imgspot_img

Fra regionali e piazze, gli ‘highlight’ del centrosinistra

AGI – La vittoria a Genova, quelle in Toscana, Campania e Puglia. Ma anche le sconfitte in Calabria e in Veneto, regione ‘tabù’ per il centrosinistra. Il 2025 per il campo largo o campo progressista mostra tinte in chiaroscuro. La vittoria più significativa, rivendicata da Elly Schlein, è quella di aver presentato la stessa coalizione larga in tutte e sei le regioni a statuto ordinario andate al voto. Un risultato anticipato dalle piazze che hanno visto sfilare insieme i leader di Pd, M5s e Avs. Il 7 giugno a Piazza San Giovanni, per chiedere l’immediato cessate il fuoco a Gaza, lo sblocco degli aiuti umanitari e il riconoscimento dello stato di Palestina. Poi è stata la volta della piazza convocata dal M5s in sostegno a Sigfrido Ranucci, il 21 ottobre, dopo l’attentato sotto la sua casa a Pomezia.

L’anno che volge al termine, per la segretaria del Pd, è iniziato all’insegna delle divisioni, esterne e interne al partito. Da una parte, il leader M5s Giuseppe Conte non ha mai smesso di rivendicare una propria autonomia rispetto alle logiche di coalizione, non deflettendo mai dalla linea anti riarmo del suo partito, tanto sul supporto all’Ucraina quanto sul piano messo in campo da Ursula Von der Leyen. Sul fronte interno, l’ala riformista del Pd ha mostrato insofferenza per una gestione del partito considerata poco o niente affatto pluralista, e reclamando spazi di discussione. Tanto che il 9 marzo 2025 è tornato ad aleggiare sul Nazareno lo “spettro” del congresso anticipato.

Il congresso straordinario e la politica internazionale

“Serve un congresso straordinario”. La parola che nessuno nel Partito Democratico osa pronunciare la fa mettere nero su bianco Luigi Zanda che del Pd è stato co-fondatore. L’ex senatore Pd si sofferma sul ciclone che ha investito Stati Uniti ed Europa con l’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca. “Davanti alla straordinarietà della fase storica che stiamo vivendo e dunque al bisogno urgente e assoluto per il Pd di darsi una linea chiara sulla politica internazionale ed europea, l’unico luogo nel quale un dibattito di questo rilievo possa svolgersi in modo franco e trasparente è un congresso straordinario“, spiega. Il riferimento è a quanto ha fatto vedere il partito prima e durante il Consiglio Europeo che ha discusso del piano di riarmo presentato da Ursula Von der Leyen. Da una parte la linea della segretaria Elly Schlein, contraria al piano. Dall’altra quella della minoranza dem, favorevole a quello che definiscono un “passo avanti” in direzione di una vera difesa comune.

Le spaccature interne e il Jobs Act

Una linea, questa, più vicina a quella del gruppo europeo S&D al quale il Pd appartiene. Il 13 marzo, il voto di Bruxelles si conferma insidioso per la segretaria Elly Schlein che vede i suoi tornare a spaccarsi, questa volta sul Libro bianco per la difesa, contenente il piano ReArm Europe presentato dalla presidente della Commissione europea. Sono dieci i deputati del Partito Democratico che votano sì alla risoluzione del Parlamento: Bonaccini, De Caro, Gualmini, Gori, Lupo, Maran, Moretti, Picierno, Topo, Tinagli. Undici i componenti della delegazione Dem che hanno optato per l’astensione: Annunziata, Benifei, Corrado, Laureti, Nardella, Ricci, Ruotolo, Strada, Tarquinio, Zan, Zingaretti. Un braccio di ferro, quello tra la segretaria e i riformisti dem, destinato a proseguire con il referendum per l’abrogazione del Jobs Act, provvedimento del governo Renzi che i riformisti rivendicano. La segretaria, invece, firma per l’iniziativa della Cgil. Il 10 giugno, però, il quorum non viene raggiunto. Lo zoccolo duro dei riformisti Pd, contrari all’abrogazione della legge varata dal governo Renzi, rivendica la bontà della loro scelta con la formula “basta guardare al passato” ed evoca una resa dei conti. Tradotto, una riunione della Direzione o dell’Assemblea in cui fare il punto sugli errori della segretaria. L’Assemblea è da convocare due volte l’anno, per statuto, ma i riformisti dovranno attendere: incombe la campagna elettorale per le elezioni regionali e un redde rationem interno finirebbe per indebolire i candidati del Pd.

Il fronte con i Cinque Stelle e il piano Rearm Eu

Intanto si riapre il fronte con i Cinque Stelle. La votazione sulle risoluzioni riguardanti il piano Rearm Eu, il 23 giugno 2025, vede il centrosinistra spaccarsi su un punto del documento presentato dai Cinque Stelle: “Non escludere a priori” una collaborazione con la Russia sull’approvvigionamento di gas: la formula, seppur ipotetica, non ha evitato la spaccatura dell’asse fra Pd, M5s e Alleanza Verdi e Sinistra. Quella formula è “troppa roba” anche per gli alleati rossoverdi che votano a favore della risoluzione M5s sulle comunicazioni della premier, tranne sul punto 32. Quello, appunto, che fa sobbalzare gli alleati. Nessuno, fra i deputati dell’asse di centrosinistra, si aspettava di leggere quelle parole, tanto che anche un esponente di spicco di Avs ammette: “Ho dovuta rileggerla due volte, chissà a cosa pensavano…”. La risoluzione Cinque Stelle viene rilanciata dagli organi di stampa mentre i dem sono riuniti in Sala Berlinguer per decidere la posizione da tenere in Aula. All’uscita, i rappresentanti riformisti non nascondono lo sconcerto: “Questa non la votiamo”.

Le elezioni regionali d’autunno e i candidati

L’estate è dedicata alla campagna per le regionali di autunno: la speranza è di riconquistare le Marche, oltre che confermare Toscana, Campania e Puglia. Ma il ‘rebus’ candidati incombe: dem e M5s si accordano per schierare Pasquale Tridico, europarlamentare M5s, in Calabria. Una missione al limite dell’impossibile contro il governatore uscente Roberto Occhiuto. Tridico viene sconfitto, ma la tenuta dell’asse Pd-M5s è affidata a Roberto Fico, uno dei massimi esponenti del Movimento candidato anche contro la volontà di Vincenzo De Luca. Il potente governatore campano del Pd è escluso dalla competizione per la regole dei due mandati che si è dato il partito. Lui, però, minaccia di candidarsi lo stesso, in polemica con la segretaria. Dopo un lungo lavoro diplomatico fra dirigenti nazionale e dirigenti campani dem si arriva al punto di caduta. De Luca fa un passo di lato, ma presenta due liste e vede eleggere segretario del Pd campano suo figlio Piero. A far trattenere il fiato alla segretaria è anche Antonio Decaro. Il 3 settembre l’ex sindaco di Bari, candidato in pectore in Puglia, avverte: “Non sono indispensabile, né insostituibile”. Le parole di Decaro arrivano mentre sul palco della Festa di Avs sono riuniti i leader della coalizione di centrosinistra pronta a sostenerlo in Puglia. Il nodo, per Decaro, sono le candidature di Nichi Vendola e Michele Emiliano, che l’esponente Pd – campione di preferenze alle europee – vorrebbe fuori dal consiglio regionale per avere più autonomia politica una volta eletto. Emiliano fa un passo indietro, Vendola no. Alla fine Decaro si candida, vince e si scusa con la segretaria, e con Vendola, per i dubbi manifestati. Al termine della tornata delle regionali, il centrosinistra si conferma in Toscana, Campania e Puglia. Perde nelle Marche, in Calabria e in Veneto. La fine degli appuntamenti con le urne riporta le aree dem a organizzarsi. A fine novembre le componenti della maggioranza Pd si riuniscono a Montepulciano. Un appuntamento che, sulla carta, serve a rafforzare la segretaria ma che ai piani alti del Pd leggono come un tentativo di condizionare la leader, anche in vista delle liste elettorali per le politiche 2027. Fatto sta che la maggioranza che sostiene la segretaria si allarga a esponenti che non l’avevano sostenuta al congresso, come Gianni Cuperlo, Dario Nardella o Anna Ascani.

Il congresso anticipato e il duello Schlein-Meloni

Poco dopo, anche il presidente Stefano Bonaccini blinda il percorso della segretaria respingendo le ‘sirene’ che evocano un congresso anticipato: “Non serve, Schlein è già forte di suo”. Il senso è che anticipare l’appuntamento con i gazebo non farebbe che rafforzare ancora di più la segretaria, vista la penuria di competitor interni. Nel frattempo si riapre il quesito: Atreju sì o Atreju no. Si parla della festa di FdI alla quale Schlein è invitata. Schlein fa sapere di essere pronta ad andare se ci sarà un confronto diretto con Meloni. Fratelli d’Italia risponde che il format non lo prevede e che cambiarlo significherebbe fare torto agli altri leader di partito. È a quel punto che entra in scena Giuseppe Conte: “Io sono stato invitato e ho accettato, mi hanno detto che le regole non prevedono il confronto con la premier, se ora cambiano, me lo facciano sapere”. La premier Giorgia Meloni, a quel punto, si dichiara disponibile a un confronto a tre, sul palco con Schlein e Conte. Il leader M5s accetta subito, ma per la leader dem quella di Meloni rappresenta una fuga. “Mi dispiace che Meloni abbia rifiutato di fare il confronto con me”, dice Schlein: “Tanto più che l’anno scorso prima delle europee aveva accettato di farlo, mi chiedo cosa sia cambiato, forse ha più paura di me visti i risultati che abbiamo ottenuto”. Il confronto sul palco di Atreju non c’è, ma fra Elly Schlein e Giorgia Meloni è duello vero, seppure a distanza. Il 14 dicembre il botta e risposta corre lungo via Labicana, costeggia il Colosseo, arriva a Castel Sant’Angelo, dove la premier chiude la festa di Fratelli d’Italia. Dalla parte opposta, a due passi dalla Basilica di San Giovanni, Schlein riunisce l’assemblea dem. Europa, Ucraina, dazi, Trump: il duello tra la leader dem e la premier si protrae per ore, senza esclusione di colpi. Per Meloni, Schlein è come il Michele Apicella di Nanni Moretti: “Mi si nota di più se vengo o se non vengo”, dice la presidente del Consiglio riferendosi al confronto mancato. Schlein ribatte definendo Meloni “una campionessa di incoerenza”, e ricordando “il video in cui la premier diceva di volere azzerare le accise. Chi pensa di prendere in giro? L’unico interventismo è stato quello di entrare a gamba tesa nell’operazione di Mps su Mediobanca dove emerge un ruolo opaco del governo e del Mef. Vi dovete fermare”.

 ​ Read More 

​ 

VIRGO FUND

PRIMO PIANO