AGI – Era il 4 giugno 2014 quando un appuntato scelto dei carabinieri riceve l’ordine di intervenire con urgenza in via Cilicia, a Roma. È in corso una sparatoria e il rischio per l’incolumità dei cittadini è concreto. L’ordine arriva da un ufficiale dell’Arma al comando del nucleo radiomobile che assume la direzione dell’operazione.
L’incidente e le lesioni
Alla guida di una Fiat Bravo in dotazione al servizio il militare dell’Arma si dirige verso il luogo indicato insieme al superiore, ma, all’incrocio tra via Prenestina e via Tor de’ Schiavi, l’auto viene violentemente speronata. L’incidente gli provoca gravi lesioni: trauma cranico, fratture cervicali e al bacino, con conseguenze permanenti. L’Arma riconosce la causa di servizio.
Negazione dello status di vittima del dovere
Il ministero dell’Interno, invece, nega il riconoscimento di “vittima del dovere“, definendo l’episodio un semplice incidente stradale e lo definisce un “autista del comandante”. La richiesta viene bocciata, con l’avallo del Prefetto di Roma dell’epoca e poi del Tar del Lazio, che afferma testualmente: “L’evento lesivo non appare direttamente riconducibile all’attività svolta, bensì è stato provocato da un evento accidentale ed estraneo al servizio.”
La svolta in appello
La svolta in Appello: “Fu un’azione contro il crimine“. L’uomo presenta ricorso alla Corte d’Appello di Roma e, grazie alla determinazione dell’avvocato Ezio Bonanni, presidente dell’Osservatorio Vittime del Dovere, ottiene giustizia. I giudici di secondo grado riconoscono che lui quel giorno non era un semplice autista, ma stava svolgendo un’attività direttamente finalizzata al contrasto della criminalità, così come previsto dalla legge 266/2005.
Condanna del ministero dell’Interno
Il ministero dell’Interno viene così condannato a riconoscere lo status di vittima del dovere, con tutti i benefici previsti. L’ex militare, oggi in congedo, riceverà 400 mila euro circa di arretrati (calcolo OVD) e una pensione di 2300 euro mensili. Si legge in sentenza: “L’appellante fu speronato mentre, insieme al suo superiore, stava convergendo verso una zona dove erano stati segnalati colpi d’arma da fuoco. È attività rientrante nel contrasto al crimine organizzato, senza che sia necessario un rischio ulteriore rispetto alle funzioni istituzionali.”
L’amarezza e la dedica
L’ex carabiniere non nasconde l’amarezza per la lunga battaglia legale: “Ho servito lo Stato con lealtà, non avrei mai pensato di dover lottare per vedere riconosciuti i miei diritti. Dedico questa vittoria ai miei commilitoni caduti”.
Dichiarazioni di Bonanni e l’Osservatorio
“Serve più attenzione per chi indossa una divisa – sottolinea l’avvocato Bonanni -. Questa sentenza è una vittoria per tutta l’Arma dei carabinieri e per ogni servitore dello Stato che rischia la vita ogni giorno. Chi indossa una divisa merita rispetto, non burocrazia e negazione. Abbiamo dovuto combattere contro il silenzio, l’indifferenza e il pregiudizio istituzionale. Ora la verità è stata ristabilita”, conclude il legale.