AGI – Quarant’anni e non sentirli. Lo studio di animazione giapponese Ghibli li compie il prossimo 15 giugno e, tra Oscar, meme sui social e immagini “alla Ghibli” create con le intelligenze artificiali di ultima generazione, il suo universo è più vivo che mai.
Nato nel 1985 dall’incontro tra Hayao Miyazaki e Isao Takahata, lo studio Ghibli è entrato nell’immaginario globale con film-culto come “Il mio vicino Totoro” e la premiata “La città incantata” (Oscar nel 2003). Ma il vero segreto del successo, oltre a storie che stregano grandi e piccoli, è un immaginario visivo inconfondibile, fatto di nostalgia, poesia e dettagli artigianali.
Descrivere lo stile Ghibli non è semplice. È un mix di malinconia e nostalgia, condito da un pizzico di speranza e autenticità. È una corsa a perdifiato in bicicletta su una strada sterrata. È una compagnia bislacca di personaggi con un’enorme profondità d’animo, che sembrano provenire da mondi paralleli ma vicinissimi, sconosciuti ma estremamente reali. È una battaglia continua contro la solitudine e la durezza della vita, raccontata da prospettive nuove, mai artificiali. È delicatezza mai banale, è intelligenza ed empatia. Un’eredità di un mondo che oggi facciamo fatica a riconoscere, ma che è così universale da sovrapporsi perfettamente all’esistenza di ognuno di noi.
Ombra, luce e un pizzico di inquietudine
Se i personaggi di Ghibli sono diventati sinonimo di tenerezza, il cuore delle loro storie resta più complesso. Lo ha spiegato bene Goro Miyazaki, figlio di Hayao, le cui parole sono state riprese da AFP: “Non c’è solo dolcezza, ma anche amarezza. Nelle opere di mio padre si avverte un ‘odore di morte’, il peso di una generazione segnata dalla guerra. Per chi è cresciuto in tempo di pace, replicare quello sguardo è praticamente impossibile”.
Anche “Totoro”, forse il film più iconico, nasconde un filo di inquietudine: sotto la superficie rassicurante c’è la paura di perdere chi amiamo. Una lettura condivisa da Susan Napier, docente alla Tufts University e autrice di un saggio su Miyazaki: “In Ghibli luce e ombra convivono, a differenza dei cartoon americani dove bene e male sono separati da una linea netta. Basta guardare ‘Nausicaä’, la prima vera opera dello studio: niente villain o cattivi classici, ma una protagonista complessa e indipendente”.
Natura, ecologia e uno sguardo sul mondo
La forza dei film Ghibli sta anche in una visione ecologista e animista che oggi, nell’era della crisi climatica, suona quasi profetica. In “Principessa Mononoke”, la natura non è solo sfondo, ma protagonista: il confine tra umano e soprannaturale è sottile. “Ogni volta che riguardo un loro film scopro dettagli nuovi” spiega Miyuki Yonemura, studiosa di animazione a Tokyo, “ecco perché certi bambini vedono Totoro anche 40 volte”.
Non solo Giappone: Miyazaki e Takahata hanno sempre guardato oltre, con riferimenti che vanno dalla letteratura francese di Saint-Exupéry all’animazione canadese di Frédéric Back. Un mix che ha reso le loro storie universali e senza tempo.
Ghibli nella nuova era: tra AI, nostalgia e futuro incerto
Il successo recente di “Il ragazzo e l’airone” (Oscar 2024) conferma la vitalità dello studio, anche se il futuro dopo Miyazaki – oggi 84enne – resta un’incognita. Ma è difficile immaginare un vero declino o una disaffezione, almeno finché lo spirito Ghibli continuerà a diffondersi e a essere preservato.
E poi ci sono le nuove tecnologie. Nell’era delle AI generative, l’estetica Ghibli ha invaso nuove piattaforme: il boom di immagini “alla Ghibli” create su ChatGPT (e condivise ovunque, da Instagram a TikTok) ha sollevato molte domande su copyright e creatività digitale, ma ha anche dimostrato il desiderio collettivo di entrare, almeno per un attimo, in quell’universo magico. Tutti abbiamo voluto provare cosa si prova, per una volta, a essere parte di questa dimensione, anche solo attraverso un’immagine generata da un algoritmo.
È il segno che l’atmosfera creata dello studio giapponese, a 40 anni dalla fondazione, continua a conquistarci. In quel 15 giugno 1985 nasceva qualcosa che avrebbe cambiato (e ispirato) per sempre la creatività umana. Oltre ogni effetto speciale, oltre ogni rivoluzione digitale. Perché se i metodi cambiano e la tecnologia si perfeziona, l’anima, se curata e difesa, resta sempre intatta.
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