AGI – Il lavoro domestico rappresenta un pilastro dell’economia italiana e della tenuta sociale del Paese. Un settore che occupa oggi oltre 1,7 milioni di persone – in larghissima parte donne – pari al 4,6% dell’occupazione complessiva e al 6% del lavoro dipendente. È quanto si evince da un rapporto di Filcams Cgil, CRS e Ce-Mu. Negli ultimi trent’anni il settore ha conosciuto un’espansione costante, con un incremento dell’occupazione del 40% tra il 1995 e il 2024, quasi il doppio del resto dell’economia. Tuttavia, dal 2014 si registra una fase recessiva: dopo il picco di 1,42 milioni di lavoratrici, il numero è sceso di oltre 180 mila unità. La contrazione riguarda quasi esclusivamente il comparto housekeeping (colf), che ha perso il 32% della propria consistenza, mentre le badanti – settore del personal care – sono cresciute dell’11%, fino a superare per la prima volta le colf. Il mutamento ha anche una chiara dimensione sociale e demografica: cala la presenza delle lavoratrici straniere (oggi 69% del totale, ma in calo costante) e cresce quella delle italiane, in particolare tra le badanti, dove la componente nazionale è passata dal 16% al 28%.
La crisi economica delle famiglie, la riduzione del potere d’acquisto e la fine della “rendita migratoria” da Est hanno profondamente trasformato il settore. Ma, rileva il Rapporto, nonostante la sua importanza sociale, il lavoro domestico resta in larga misura un “lavoro povero“. Il reddito medio annuo equivale a un terzo di quello del resto dei lavoratori dipendenti, e la retribuzione oraria al 33%. L’irregolarità, seppur in diminuzione, “resta elevata”. Le differenze interne sono marcate: le badanti hanno condizioni mediamente migliori rispetto alle colf, con più ore settimanali, redditi più alti e una tendenza alla stabilizzazione.
Tuttavia, entrambe le figure condividono un progressivo invecchiamento e un rischio di marginalità. Anche dal punto di vista territoriale, il Paese resta spaccato in due: Nord e Centro concentrano oltre tre quarti dell’occupazione, con maggiore incidenza di lavoro regolare e di origine straniera; nel Sud prevalgono l’impiego irregolare, la povertà e la frammentazione delle esperienze lavorative. Il rapporto evidenzia che il 71% delle persone con gravi limitazioni ha dichiarato di ricevere sostegni insufficienti: “un dato drammatico, che mostra quanto sia urgente un intervento pubblico strutturale“. Eppure, queste figure pagano prezzi altissimi: vivono quotidianamente condizioni di isolamento, ricattabilità e mancanza di tutele fondamentali.
L’ombra dell’irregolarità e le proposte per il futuro
Per la Filcams Cgil l’irregolarità sta calando ma è da notare il dato relativo al 2024: poco più di 817.000 lavoratrici e lavoratori domestici sono risultati regolarmente assunti, a fronte di un esercito parallelo di circa 800.000 persone che operano nell’irregolarità. Si tratta per quasi il 90% di donne e per oltre il 70% di migranti, spesso esposte a licenziamenti senza preavviso, assenza di coperture in caso di malattia, maternità non tutelata, esclusione dagli ammortizzatori sociali e fuori dalle norme su salute e sicurezza. “È una condizione strutturale di vulnerabilità e disuguaglianza che la Filcams contrasta ogni giorno attraverso l’azione nei territori, negli sportelli, nella rappresentanza contrattuale e attraverso l’attività di EbinColf, che promuove formazione e qualificazione professionale. Ma non basta. La contrattazione collettiva resta la leva decisiva. Dal 1974, anno del primo contratto collettivo nazionale, sono stati compiuti passi importanti. Oggi serve un avanzamento: salari adeguati, tutele universali, riconoscimento della professionalità, condizioni di lavoro sostenibili“.



