AGI – L’Iran ha promesso di vendicarsi con Israele per l’attacco subito sul proprio territorio lo scorso sabato 26 ottobre. Per il regime degli ayatollah non rispondere significherebbe perdere credibilità dinanzi ai propri sostenitori, un segnale di debolezza che finirebbe inevitabilmente per avere ricadute sulla immagine della Repubblica islamica e sulla propria influenza nella regione. Allo stesso tempo un eventuale attacco verso lo Stato ebraico spianerebbe la strada a una ennesima reazione.
Israele ha dimostrato di saper colpire e avere mezzi e informazioni per far male all’Iran. Nel mirino potrebbero stavolta finire infrastrutture energetiche di valore cruciale o impianti nucleari la cui distruzione potrebbe avere ripercussioni drammatiche per il Paese. Un rischio divenuto ancora più concreto in seguito all’attacco israeliano dello scorso sabato, che ha indebolito radar e difese aeree della Repubblica Islamica. Una situazione che amplia e facilita la possibilità di futuri attacchi da parte di Israele.
A frenare il regime degli ayatollah c’è anche un altro fattore. Per la Guida Suprema Ali Khamenei la priorità assoluta è mantenere in vita il regime. Il precedente attacco sferrato da Teheran verso Israele è sembrato più una risposta da sbandierare dinanzi l’opinione pubblica, che una mossa per dare il via a una escalation che la Guida Suprema non può permettersi. In questo momento Teheran passa al vaglio le opzioni per una risposta tarata sui propri limiti e sui rischi che il governo punta a evitare.
Secondo analisti e osservatori l’Iran, come avvenuto in passato, potrebbe utilizzare azioni di disturbo sferrate dagli alleati sul campo. Risposte su piccola scala, ma simboliche. Attacchi per colpire lo Stato ebraico che non è detto scatenino risposte su suolo iraniano.
Una seconda possibilità per Teheran passa attraverso un’accelerazione del programma di sviluppo nucleare. Un’ipotesi già paventata nel recente passato da alti rappresentanti dei Guardiani della rivoluzione islamica: evitare attacchi e concentrarsi sul proprio arsenale per far paura al nemico.
Un’opzione che implica comunque il rischio di una reazione veemente. Israele e Usa si oppongono all’arricchimento dell’uranio iraniano e vogliono evitare che il regime si doti di armi nucleari. La terza via al vaglio di Teheran è quella di sbandierare intenti di vendetta, senza pero’ agire in concreto. La stessa linea scelta in seguito all’assassinio del leader politico di Hamas, Ismail Haniyeh, ucciso da Israele mentre si trovava a Teheran. Khamenei eviterebbe così di subire ulteriori colpi su suolo iraniano, ma rischierebbe comunque di vedere annientati i propri alleati, come accaduto con i bombardamenti sul Libano in cui ha perso la vita il capo di Hezbollah, Hassan Nasrallah.
Le opzioni sul tavolo di Teheran implicano tutte una serie di rischi che il regime non può permettersi di correre. Al contrario il governo iraniano sembra intenzionato a mantenere il livello di scontro il più basso possibile, una maniera per mascherare la propria netta inferiorità militare. Khamenei ha dimostrato di voler evitare che gli scambi di colpi con Israele diventino una costante e che il timore di un’azione israeliana incomba costantemente sulla testa degli iraniani. L’Iran ha ora la necessità di ricostruire le proprie difese colpite sabato scorso, rafforzare il proprio apparato militare e rinsaldare la propria influenza all’interno dell”Asse della resistenza’, duramente colpita negli ultimi mesi. Sono queste le priorità di un regime già traballante, che avrebbe i mezzi per colpire, ma al momento non sembra in grado di contenere le risposte che deriverebbero dalle proprie azioni.