AGI – “Tutti i siti nucleari in Iran hanno subito danni monumentali, come mostrano le immagini satellitari. Annientamento è un termine esatto”. Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, a 24 ore di distanza, sente il dovere di tornare sugli effetti del bombardamento americano avvenuto nella notte tra sabato e domenica ai danni di siti nucleari iraniani.
E lo fa proprio mentre molti media americani stanno sollevando dubbi sull’efficacia di tali attacchi. “I danni maggiori si sono verificati molto al di sotto del livello del suolo” scrive sul suo social network Truth, quasi a rassicurare chi invece, proprio analizzando le immagini satellitari, ipotizzava un impatto quasi irrilevante dei bombardamenti.
Ma la tensione resta alle stelle e, secondo fonti citate dal New York Times, diversi funzionari militari e di intelligence americani avrebbero rilevato segni che le milizie sostenute dall’Iran si stanno preparando ad attaccare le basi statunitensi in Iraq.
La minaccia di Khamenei
Israele ha commesso un “grave errore” e “deve essere punito“. Lo si legge in un account social associato alla guida suprema iraniana Ayatollah Ali Khamenei, in quelli che sarebbero i suoi primi commenti da quando gli Stati Uniti si sono uniti alla guerra di Israele.
Nel post pubblicato su X si legge: “Il nemico sionista ha commesso un grave errore, ha commesso un grande crimine; deve essere punito e verrà punito; viene punito proprio ora”.
Il post è accompagnato da un’immagine di un teschio con la stella di Davide, in cima a una città oscurata con missili che piovono dal cielo.
Nuovi scontri nella notte
Nella notte l’esercito israeliano ha dichiarato di aver effettuato attacchi contro “obiettivi militari iraniani“, tra cui siti di lancio e stoccaggio di missili (circa 20 jet da combattimento e oltre 30 munizioni), e allo stesso tempo sono stati intercettati alcuni missili iraniani da Israele. Le sirene d’allarme sono risuonate a Tel Aviv, a Gerusalemme e in buona parte di Israele.
Il prezzo del petrolio schizza ai massimi da mesi
Conseguenza immediata di tanta instabilità è stato il balzo del prezzo del petrolio, che all’avvio degli scambi in Asia ha visto un’impennata del 4%, ai massimi da sei mesi. Pochi minuti dopo l’avvio degli scambi, le quotazioni si sono stabilizzate, ma segnando comunque un netto progresso dei future sia del WTI che del Brent (in entrambi i casi con un progresso di due punti percentuali e mezzo).
Gli sviluppi del fine settimana del conflitto mediorientale hanno riacceso i timori del peggiore scenario possibile per il mercato petrolifero: la chiusura dello Stretto di Hormuz, al largo delle coste iraniane, attraverso il quale passa quasi il 20% del petrolio mondiale, un terzo del traffico petrolifero globale.
Non va infatti dimenticato che l’Iran produce circa 3,3 milioni di barili di petrolio al giorno: è il nono produttore mondiale di petrolio. Di questo, ne esporta poco meno della metà (1,5 milioni di barili). Ma è soprattutto la limitazione o l’interruzione del traffico marittimo nello Stretto di Hormuz a mettere in allarme gli operatori del mercato.
Borse asiatiche tutte nettamente in territorio negativo.