AGI – Non ci sono stati effetti disastrosi per colpa dei dazi sull’inflazione americana che a luglio ha accelerato ma in misura modesta. I mercati aspettavano questo dato per capire se la Fed sarà in procinto di tagliare i tassi nella riunione del direttivo di settembre.
Ipotesi
Se i prezzi avessero corso troppo, avrebbero dato ragione alla prudenza del banchiere centrale. Viceversa, un andamento più soft giustificherebbe l’allentamento monetario auspicato da Donald Trump che è tornato ad attaccare Jerome Powell, arrivando a minacciare una causa legale importante nei suoi confronti per aver speso troppo sulla ristrutturazione della sede dell’istituto. Ma l’opportunità o meno di tagliare i tassi è un argomento di dibattito molto sentito dai policymaker della Fed. Finora il Comitato direttivo, il Fomc, ha preferito rinviare qualsiasi riduzione dei costi di indebitamento finché non sarà chiaro l’impatto inflazionistico dei dazi, anche se c’è chi sostiene che l’impatto dei dazi sui prezzi sarà limitato e c’è chi invece invita alla prudenza.
Il governatore della Fed di Kansas City
Come il presidente della Fed di Kansas City Jeffrey Scmid, secondo il quale il dato sull’inflazione va interpretato come un segnale che la politica monetaria è “adeguatamente calibrata”. “Con l’economia che continua a mostrare slancio, un crescente ottimismo delle imprese e un’inflazione ancora superiore al nostro obiettivo, mantenere una politica monetaria moderatamente restrittiva rimane appropriato per il momento”, ha affermato. “Sebbene l’aumento dei dazi sembri avere un effetto limitato sull’inflazione, lo considero un motivo per mantenere la politica invariata piuttosto che un’opportunità per allentare la posizione”. Schmid ha spiegato inoltre che il suo “approccio paziente” al livello attuale dei tassi, attualmente compreso tra il 4,25% e il 4,50%, non deve essere interpretato come un approccio “attendista”, poiché non ritiene che nei prossimi mesi sarà chiaro se i dazi stanno spingendo al rialzo i prezzi in modo temporaneo o persistente. “A mio avviso – ha aggiunto – la crescita rimane solida, l’inflazione rimane troppo alta e quindi la politica dovrebbe rimanere moderatamente restrittiva”.
Il collega di Richmond
Anche il presidente della Fed di Richmond Tom Barkin, pur mostrandosi più favorevole ad un taglio, invita a essere cauti in quanto a suo giudizio dipenderà ora dalla risposta dei consumatori alle eventuali pressioni sui prezzi. “Tra tutti i discorsi sui dazi e sull’aumento dei prezzi dei beni, abbiamo visto le persone fare scorta di iPhone e ridurre i servizi, come i viaggi aerei e gli alloggi. Se assistiamo a una distruzione della domanda su più ampia scala, l’impatto inflazionistico dei dazi sarebbe inferiore a quanto molti prevedono”, ha affermato Barkin. I nuovi dati hanno mostrato che l’inflazione dei prezzi al consumo a luglio è stata sostanzialmente in linea con le aspettative, con un aumento dell’inflazione ‘core’ o sottostante al 3,1%.
Possibili rischi
Il rischio, secondo Barkin, è che i consumatori riducano i consumi in modo così drastico che “le imprese vedranno diminuire i volumi e ridursi i margini. Cercheranno quindi di tagliare i costi. L’occupazione potrebbe risentirne”, ha spiegato. Tuttavia, ritiene che tale esito possa essere evitato, dato che le imprese sono state riluttanti a licenziare personale e che la crescita dell’offerta di manodopera dovrebbe rallentare a causa dell’inasprimento delle politiche sull’immigrazione e dei pensionamenti in corso tra i lavoratori più anziani. “La crescita dell’occupazione ha subito un rallentamento negli ultimi tempi, un dato che va sicuramente tenuto d’occhio. Ma sono fiducioso che, anche se le imprese dovranno affrontare pressioni sui costi e sui prezzi, riusciranno in gran parte a evitare licenziamenti di massa che farebbero impennare la disoccupazione”. Barkin non ha diritto di voto quest’anno sulla politica dei tassi di interesse, ma ha affermato di ritenere che l’attuale tasso di riferimento, compreso tra il 4,25% e il 4,5%, sia “adeguato” per rispondere sia all’aumento dell’inflazione che all’aumento della disoccupazione, entrambi ancora possibili.
L'”uomo” di Trump
Più deciso Stephen Miran, che Trump la scorsa settimana aveva dichiarato di voler nominare nel consiglio di amministrazione della Fed, ha dichiarato: “Non c’è ancora alcuna prova di inflazione indotta dai dazi”. Oggi i mercati scontano una probabilità di circa il 95% di un taglio di un quarto di punto alla riunione della Fed del mese prossimo, rispetto a circa l’85% prima dei dati sull’inflazione. Il rendimento dei titoli del Tesoro a due anni, che riflette le aspettative sui tassi di interesse, è sceso di 0,08 punti percentuali al 3,72%. “Il sollievo del mercato è dovuto al fatto che i trader temevano che il dato sull’inflazione sarebbe stato molto più alto”, ha affermato a FT Stan Shipley, stratega del reddito fisso presso Evercore ISI. “Penso che a questo punto consolidi un taglio dei tassi a settembre”, ha osservato John Velis, stratega macroeconomico presso BNY.