martedì, Agosto 12, 2025
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La grande sete della Sicilia. Il report della Corte dei Conti

AGI – Gravi criticità, ritardi negli interventi, gestione inefficiente, impianti obsoleti, il buco nero delle concessioni e un depotenziato Dipartimento regionale acqua e rifiuti (Dar), che dovrebbe essere il cuore gestionale del sistema idrico siciliano, ma che paga il mancato “rafforzamento delle dotazioni organiche e professionali”. Uno scenario afflitto certamente dalla siccità, ma soprattutto da deficit di programmazione e risultati, cosicché “la situazione meteorologica globale non appare la sola responsabile del grave deficit idrico che affligge l’Isola”.

E la Corte dei conti chiede spiegazioni. È quanto viene fuori dalla delibera di approvazione delle bozze di referto della Sezione di controllo della Regione siciliana, per il contraddittorio con le amministrazioni interessate, sulla gestione “Dello stato di emergenza in relazione alla situazione di grave deficit idrico e alla criticità delle infrastrutture nel territorio della Regione siciliana”.

Acqua a perdere e infrastrutture fragili

L’Autorità di bacino della Regione siciliana riporta un volume di progetto totale degli invasi pari a circa 1,1 mld di m3 di acqua: tuttavia, le infrastrutture “presentano un quadro generale di grave criticità, dovuta principalmente alla carenza di manutenzione”. In questa situazione di “fragilità infrastrutturale”, in cui una parte rilevante del volume utile alla raccolta dell’acqua è perso a causa dell’accumulo di detriti dovuto alla mancanza di manutenzione, e un’altra parte del volume soggiace a importanti limitazioni di utilizzo da parte delle strutture ministeriali a ciò deputate, “l’unica possibilità di riempimento del volume residuo è rappresentata da piogge frequenti”. Dei 45 grandi invasi artificiali esistenti sull’Isola, si rileva, ne sono attivi 38, dei quali 18 funzionanti a pieno regime senza condizioni, mentre 20 assoggettati a limitazioni di riempimento (10 per l’assenza del collaudo e 10 per ragioni di sicurezza imposte dall’Ufficio Tecnico per le Dighe di Palermo).

Sette invasi, invece, sono attualmente fuori esercizio o in costruzione. Pertanto, al netto degli invasi inattivi e delle limitazioni di invaso, il volume disponibile dagli invasi per il territorio regionale ammonta a circa 757,23 milioni di m3, pari al 67,1% a fronte del volume complessivo potenziale di 1.129 Mm3.

I mancati collaudi

I mancati collaudi costituiscono, per i giudici contabili, quindi, una delle cause delle limitazioni di uso degli invasi. Se l’acqua oltrepassa il limite consentito dal Mit, occorre sversare l’acqua in eccesso, poiché la risorsa idrica contenuta nell’invaso non può superare il volume autorizzato (anziché poter essere accumulata fino al volume di progetto). Questa circostanza si è verificata, ad esempio, e a più riprese, con riferimento alla Diga Trinità. In conseguenza delle problematiche funzionali-strutturali, nonché delle relative limitazioni d’invaso imposte dalla Direzione Dighe, la capacità effettiva dei serbatoi condotti ha subito una riduzione, in condizioni idrologiche e climatiche ordinarie, pari a circa un terzo della capacità di progetto.

La sostenibilità economica

In merito alle criticità rilevate nel regime concessorio, dai verbali delle visite ispettive effettuate dal Mit si evince che la gestione è maggiormente efficiente in caso di dualismo dei soggetti concedente-gestore, mentre nel caso di coincidenza dei soggetti si riscontrano maggiori criticità. In Sicilia il Dar è contemporaneamente concedente e concessionario di 26 dighe,” in un regime che si dimostra inefficiente”, sostiene la Corte dei conti; 20 sono invece gli invasi in concessione per i quali il Dar è solo soggetto concedente. Le problematiche relative a tale duplicità di competenze sono evidenziate dallo stesso Dipartimento, che mette in luce come la gestione operativa delle grandi dighe da parte di un’amministrazione pubblica abbia fatto emergere criticità dovute a una percepita incompatibilità tra le caratteristiche di una struttura orientata anche a obiettivi economici (tipica di un gestore privato) e un organismo istituzionale rivolto al perseguimento dell’interesse collettivo: “Tale aspetto gestionale influisce sull’efficienza e la sostenibilità finanziaria del servizio”. Al Dar è stata trasferita la conduzione di 26 delle 45 grandi dighe siciliane, mentre le restanti 19 sono gestite da altri soggetti.

Blufi e altre storie

Delle 26 dighe gestite dal Dar, 23 sono in esercizio, mentre la diga di Blufi è in fase di progettazione per la costruzione, la diga di Pietrarossa è in corso di completamento dei lavori, e la diga di Pasquasia è fuori servizio permanente in seguito alla cessazione dell’attività estrattiva. Il Dar gestisce anche infrastrutture aggiuntive (opere di “ruscellamento”) che consentono di veicolare la risorsa idrica agli utilizzatori finali o di integrare i volumi degli invasi, come gli adduttori e le traverse. Sussistono agli atti istruttori “palesi e macroscopiche carenze documentali nella individuazione delle connessioni finanziarie e funzionali tra le diverse gestioni emergenziali che hanno interessato gli interventi per la realizzazione, il completamento e la manutenzione delle dighe, delle reti di grande adduzione delle risorse idriche, e delle reti comunali con decorrenza dall’anno 2001”.

“Gravi criticità”. Ecco l’elenco

Dall’attività istruttoria svolta sono emerse gravi criticità in relazione alla manutenzione ordinaria e straordinaria delle grandi dighe e dei bacini idrografici, che costituiscono un problema complesso e di lunga data, “aggravato da una frammentazione delle competenze e da debolezze gestionali e finanziarie”. Le principali criticità che interessano le dighe artificiali in Sicilia e che ne limitano l’utilizzo o ne compromettono la sicurezza e la capacità di accumulo sono le seguentI:

  • Interrimento e accumulo di sedimenti, la presenza di sabbie e detriti all’interno degli invasi, che riduce drasticamente la loro capacità di accumulo di acqua. Si stima che circa 150 milioni di metri cubi di sabbia siano presenti all’interno degli invasi, e questa perdita di capacità è spesso imputabile alla mancata gestione dei sedimenti trasportati dalle piene. Per alcune dighe, come la diga di Lentini e la diga Comunelli, l’interrimento è quasi totale, rendendo inutilizzabile gran parte della loro capacità. Sebbene siano stati individuati interventi di sfangamento, un elenco prioritario di tali interventi risulta, allo stato, inattuato.
  • Mancanza di collaudi e verifiche sismiche: molte dighe non hanno superato i necessari collaudi statici e verifiche sismiche. Questo comporta che 20 dei 38 invasi attivi sono soggetti a limitazioni di riempimento imposte dall’Ufficio Tecnico Dighe del MIT (10 per assenza di collaudo e 10 per ragioni di sicurezza). Il collaudo tecnico speciale è un requisito fondamentale per il passaggio all’esercizio ordinario delle dighe.
  • Carenze strutturali e sicurezza: esistono carenze strutturali che impongono limitazioni d’invaso per ragioni di sicurezza. Sono necessari interventi di miglioramento sismico e idraulico.
  • Occlusione di scarichi e opere di presa: gli scarichi, le opere di presa e le relative condotte all’interno degli invasi, cosi’ come quelle delle traverse che alimentano gli invasi, risultano sovente occluse.
  • Carenza di impianti e controlli: si riscontra una carenza negli impianti elettrici, nei locali tecnici e nei quadri di controllo delle dighe.
  • Opere incompiute o inutilizzate: alcune dighe risultano in corso di completamento, come la diga Pietrarossa. Altre, come la diga di Blufi, hanno lavori sospesi da anni nonostante l’elevata priorità di completamento. Infrastrutture di adduzione obsolete e danneggiate: le condotte di adduzione che collegano gli invasi alla rete presentano uno stato precario e perdite significative, richiedendo interventi di rifacimento completo o consistenti riparazioni.

Le criticità nei bacini idrografici possono sintetizzarsi cosi’: apporto solido elevato dagli immissari: un problema fondamentale per la vita utile delle dighe è l’elevato apporto di solidi dai fiumi immissari, che contribuisce all’interrimento degli invasi. mancanza di interventi a monte: per mitigare l’erosione dei versanti e rifunzionalizzare i corsi d’acqua (che sono parte dei bacini idrografici), sono necessari interventi diffusi a monte degli invasi basati sui principi dell’ingegneria naturalistica. La loro mancanza aggrava il problema dell’interrimento.

Frammentazione delle competenze e il dar senza competenze

Le criticità relative alla manutenzione sono riconducibili a diverse debolezze sistemiche: frammentazione delle competenze: il sistema di gestione delle risorse idriche in Sicilia è estremamente stratificato, con numerosi enti che gestiscono diverse parti del sistema (invasi, reti di adduzione, distribuzione). Tale parcellizzazione del sistema impedisce un’azione coordinata ed efficace. Inadeguatezza degli enti Gestori: il Dipartimento regionale dell’acqua e dei rifiuti, titolare della competenza sulla programmazione e realizzazione degli interventi sulle infrastrutture idriche, ha evidenziato la necessità di un rafforzamento delle dotazioni organiche e professionali, riconoscendo per molti profili istruttori l’inadeguatezza strutturale nella gestione delle dighe e delle infrastrutture idriche, con ritardi nella definizione dei progetti per eliminare le limitazioni d’invaso. I Consorzi di Bonifica, enti a rilevanza strategica per il settore dell’agricoltura, riportano da tempo le croniche difficoltà finanziarie e le gravi carenze gestionali, che limitano la loro capacità di intervento e l’efficienza amministrativa, con rilevantissime perdite nelle reti irrigue ulteriormente aggravate dalla mancanza di una pianificazione aggiornata.

Le Assemblee territoriali idriche e i Comuni (spesso gestori di fatto) mostrano “una fragilità/debolezza d’azione, con scarsa conoscenza del sistema, carenza di personale specializzato, arretratezza gestionale, infrastrutture carenti e un’elevata morosità, che impedisce investimenti e una gestione efficiente”. Mancanza di attuazione degli interventi pianificati: nonostante l’Autorità di Bacino abbia prodotto numerosi studi, analisi, proiezioni e piani sulla siccità fin dal 2021, e abbia più volte segnalato e sollecitato gli interventi necessari (inclusi quelli per la manutenzione delle infrastrutture idriche), si registra un mancato adempimento a quanto disposto nelle pianificazioni distrettuali.

L’elenco di interventi prioritari di sfangamento degli invasi risulta, allo stato, inattuato. Debolezze finanziarie dei gestori: la difficoltà di incasso dei volumi idrici erogati, dovuta in parte a perdite di rete elevate, allacci abusivi e morosità, “si traduce in gravi criticità economico-finanziarie per i gestori, inclusa Siciliacque, comportando una riduzione delle risorse destinate alla manutenzione ordinaria e agli investimenti di rinnovo delle reti, e perpetuando i livelli elevati di perdite e la difficoltà nel mantenere l’efficienza delle infrastrutture”. Carenza di personale tecnico e lungaggini burocratiche: la mancanza di personale tecnico qualificato e le lungaggini burocratiche e procedurali ritardano l’esecuzione dei collaudi e l’attuazione degli interventi.

Nel 2023 la richiesta (inascoltata?) di risparmio idrico

L’Autorità di bacino ha esposto che, nell’ambito della propria attività di monitoraggio e pianificazione, già nel febbraio 2023, con circolare n. 4282 del 24 febbraio 2023, aveva richiesto ai soggetti gestori della risorsa l’attivazione di tutte le misure volte al risparmio idrico e all’aumento Indagine sull’Emergenza idrica in Sicilia Sezione di controllo per la Regione siciliana 214 della risorsa idrica, avuto riguardo ai dati raccolti e analizzati, che facevano presagire l’aggravamento della crisi idrica. Si chiede quindi a tutti i soggetti gestori “quali siano state le misure intraprese ed eseguite in ottemperanza alla circolare”.

Un piano da 1,3 miliardi. Che fine ha fatto?

A medio e lungo termine, viene riportata l’elaborazione di un Piano di messa in sicurezza del sistema idrico siciliano del valore di circa 1,3 miliardi di euro, di cui il 60% già finanziato, che include la costruzione e il rifacimento di grandi adduttori e reti idropotabili e irrigue (circa 600 milioni), interventi di sfangamento degli invasi (60 milioni), messa in sicurezza delle dighe (440 milioni) e riuso delle acque reflue per l’agricoltura (200 milioni). Si chiede di fornire lo stato di attuazione degli interventi programmati. 

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