mercoledì, Agosto 13, 2025
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La legge Golfo-Mosca vista dopo 14 anni: più donne nei CDA, ma il tetto di cristallo resiste

AGI – Sono passati 14 anni da quel 12 agosto 2011, quando entrò in vigore la legge 120, nota anche come “Golfo – Mosca”. Per la prima volta si introduceva nel nostro ordinamento un meccanismo volto a rendere più equilibrata la rappresentanza dei generi all’interno degli organi collegiali delle società italiane con azioni quotate in mercati regolamentati, nonché delle società, non quotate, controllate dalle pubbliche amministrazioni.

“Un risultato non scontato, affrontato con coraggio e tanta tanta determinazione. Un traguardo che resterà nella storia! Grazie alle donne e ai pochi uomini che mi sono stati accanto!” afferma Lella Golfo che di questa piccola rivoluzione è l’artefice. Perché se i cda delle aziende hanno cominciato a tingersi di rosa, lo si deve proprio al coraggio e alla determinazione di queste due parlamentari di segno opposto, ma con una visione comune. Quella di Lella Golfo, poi è stata una vita spesa per l’affermazione della leadership femminile, un impegno che si rinnova ogni giorno grazie alle attività promosse dalla Fondazione Marisa Bellisario e al conferimento della “Mela d’Oro” a quelle donne che si sono distinte nei propri settori. 

I dati della presenza delle donne nei cda

Dall’entrata in vigore della legge Golfo-Mosca sono stati fatti significativi passi in avanti per raggiungere un maggiore equilibrio di genere negli organi di amministrazione e controllo delle società, anche se non sono allo stato disponibili, con riguardo alle società a controllo pubblico non quotate, dati dettagliati aggiornati agli ultimi esercizi.

Nelle società quotate, alla fine del 2023, la presenza femminile ha toccato i valori massimi di oltre il 43 per cento degli incarichi di amministratore e del 41 per cento di quelli di componente dell’organo di controllo. Anche per le società a controllo pubblico non quotate si sono registrati progressi nell’equilibrio di genere

L’ultima Relazione inviata al Parlamento nella XVIII Legislatura relativa al periodo dal 12 febbraio 2016 al 12 febbraio 2019, evidenziava come dall’entrata in vigore della normativa sull’equilibrio di genere la percentuale delle donne che ricoprono ruoli di vertice fosse sensibilmente aumentata. In tale lasso temporale la percentuale di donne nei board delle società ha infatti continuato a crescere con un ritmo sostenuto, attestandosi, a marzo 2019, a circa un terzo dei componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società pubbliche non quotate, seppur con notevoli differenze territoriali e con una proporzione di donne tra gli amministratori unici (12,3 per cento a marzo 2019), estremamente più contenuta rispetto a quella registrata all’interno degli organi amministrativi collegiali.
Più contenuta è, infatti, l’incidenza delle donne che ricoprono la posizione di presidente nelle più grandi società quotate, che nel 2023 è diminuita al 21,2 per cento dal 29,4 per cento del 2022, sebbene in crescita rispetto al 2012, anno in cui nessuna donna ricopriva tale posizione. Inoltre, negli ultimi sette anni, in Italia la quota di donne presidente è stata sempre superiore a quella media dei Paesi europei e con un divario che si è ampliato nel tempo (da 3,4 punti percentuali nel 2016 a 20,6 punti percentuali nel 2022, a 12,9 nel 2023).
Tra gli amministratori delegati italiani, invece, nel 2023 le donne sono il 2,9 per cento, a fronte dell’anno precedente in cui non risultavano donne e dopo una esigua presenza intorno al 3 per cento nel 2018 e nel 2019. A livello europeo, invece, le donne ricoprono il 7,8 per cento degli incarichi

Tuttavia, se la legge del 2011 ha avuto il merito di rompere un argine, molto c’è ancora da fare per rompere il tetto di cristallo in tutti gli ambiti lavorativi. Per esempio, su circa 90 atenei, solo 17 sono guidati da donne. Un numero che è raddoppiato nel giro di cinque anni. Nell’ambito dell’editoria invece sono solo 6 le direttrici su 38 testate registrate, come dimostra la ricerca dell’Associazione Giornaliste Italiane che ha realizzato una mappatura digitale del divario di genere nel giornalismo italiano. “Non è mai stata una battaglia di genere. Era (ed è) una battaglia per il merito, per l’equità, per il futuro” insiste Lella Golfo ricordando la ragione che ispirò quella proposta di legge. Perché senza il punto di vista delle donne in ogni ambito, non solo manca una parte del racconto, ma anche della soluzione. 
 

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