AGI – Tutto ha avuto inizio a Roma nel 1918, alla fine della Prima guerra mondiale. Una ragazza poco più che ventenne con una visione decide di aprire In via del Plebiscito una piccola boutique di borse e laboratorio di pellicceria. Si chiama Adele Casagrande e ha un sogno. Che condivide con il marito Edoardo Fendi con quale nel 1925 dà vita al marchio destinato a diventare uno sei simboli più importanti e ammirati della moda e del Made in Italy. Nel 1932 Adele ed Edoardo Fendi aprono una boutique in via Piave mentre nel frattempo la fama della bottega artigiana cresce e il marchio Fendi travalica i confini nazionali.
Adele è il cuore e la mente dell’azienda e alleva le sue cinque figlie al compito che dovranno sostenere quando deciderà di lasciare. E accade dopo la Seconda guerra mondiale: nel 1946 il timone della casa di moda desinata a diventare un Maison internazionale passa alle figlie, le sorelle Fendi: Paola, Anna, Franca (morta nel 2022), Carla (morta nel 2017) e Alda. Come cinque dita di una mano sono inseparabili e si dividono i compiti nell’azienda: dal marketing al design agli accessori. Una simbiosi tra le cinque donne che nel 1965 vede la comparsa dell’uomo che forse è stato determinante per fare il salto di qualità e far rendere immortale il marchio Fendi, l’arrivo del 32enne Karl Lagerfeld che le accompagnerà come direttore creativo in un sodalizio durato 54 anni.
Ora, nel centenario della nascita del marchio, la nipote di Adele, Maria Teresa Venturini Fendi, decide di raccontare la storia della nonna pubblicando per Salani Editore il libro ‘Adele F.’ appena uscito in libreria. Maria Teresa Venturini Fendi, nel suo racconto, attraversando un intero secolo, traccia con sensibilità e brio un ritratto, acceso sul filo della memoria, di sua nonna Adele (1897-1978), una donna intraprendente e visionaria, fuori dagli schemi dell’epoca, è all’origine di un’avventura creativa, artigianale e imprenditoriale, unica nel suo genere che porterà il nome Fendi a conquistare le vette dell’alta moda internazionale. Una donna tenace e lungimirante, sempre protesa a pretendere il meglio da sé stessa e dagli altri, Adele lascia un’impronta formidabile. Una madre leader, che impartendo un’educazione e una disciplina di acciaio riesce a coinvolgere le sue cinque figlie nella costruzione di un progetto comune, dando vita a una luminosa stagione del Made in Italy che continua ancora oggi.
L’AGI ha incontrato nella sua casa romana Maria Teresa Venturini Fendi, poche ore prima della presentazione ufficiale del libro, e si è fatta raccontare dell’importanza della nonna non solo per la casa di moda, ma anche per lei e gli altri nipoti. Un racconto che nel libro ha descritto intrecciando ricordi e osservazioni personali che restituiscono il ritratto di un universo femminile, di uno spaccato storico e sociale di conquiste quotidiane femminili e, insieme, il racconto della metamorfosi della moda e della società italiane.
Signora Maria Teresa Venturini Fendi che donna era sua nonna Adele e che importanza ha avuto per la Maison Fendi?
“La persona della nonna è stata fondamentale per la Maison Fendi. E la nonna, prima dell’avvento al lavoro delle 5 figlie, aveva già costruito un’attività imprenditoriale di moda importante, ma aveva una base naturalmente locale a Roma. Ma lei è stata soprattutto importante perché gli ha dato un’educazione molto particolare. Era inflessibile e severa soprattutto sul fatto che le 5 sorelle non avrebbero potuto dividersi. E cioè, lei diceva sempre, voi siete come le 5 dita di una mano, potete confrontarvi ma non dividervi. E questo è stata sempre l’imprinting che le ha tenute unite sin da bambine, sin dall’infanzia. Insieme naturalmente agli esempi di lavoro, allo trasferimento del senso del bello da parte di mia nonna. Ma sicuramente questa unione, questo indissolubile uno è stato quello che le ha fatte mettere insieme. Perché loro individualmente sono capaci, ma hanno dei caratteri completamente diversi. E quindi sarebbe stato difficile, avrebbero potuto fare delle cose, ma quello che noi sappiamo oggi è che hanno costruito Fendi tutte e 5 insieme“.
Quali sono i suoi insegnamenti che le figlie e lei, con gli altri nipoti, vi siete portati dietro?
“Io posso solo parlare per me stessa, e credo, dunque io ammiro molto l’etica e il profondo senso di rispetto per gli altri di mia nonna. Non ho la sua inflessibilità, ma mi riconosco di avere appreso un certo dinamismo, e questo mi ha aiutato molto, perché la mia famiglia è sempre andata ad alta velocità, e mentre io sono più portata a essere contemplativa, alla riflessione, alla meditazione. Quindi mi ha aiutato molto l’esempio nel fare, nel concretizzare”.
C’è un episodio significativo che le racconta, nel capitolo ‘il grande hotel delle acque’. Puoi descriverlo brevemente?
“M ricordo che mia nonna, di cui avevo estremo timore proprio per la sua inflessibile severità – aveva degli occhi che ti trafiggevano, era uno sguardo laser il suo – non aveva bisogno di parole e io ne ero fortemente intimidita. Però c’era un momento, quando lei mi portava alle terme – perché lei faceva delle cure termali – e quindi voleva che io l’accompagnassi. E ero ancora molto bambina, aveva avuto 7-8 anni, e per me naturalmente era molto noioso, perché le terme poi si sa, sono sempre frequentate da persone di una certa età, ma c’era un momento in cui lei mi faceva il bagno, perché sembri una bambina, lei quotidianamente lì in vacanza mi faceva il bagno, e ricordo che lei lì era estremamente amorevole, era un’altra persona, era incredibile, perché poi era bravissima, in modo di miscelare l’acqua, di lavarti i capelli, di strofinarti il collo, di asciugarti, prima con un asciugamano di lino, e poi dopo con quello di spugna, che doveva assorbire il primo tutta l’acqua, e aveva tutto il suo rituale, ma si vedeva che lo faceva con molto amore. Poi, e allora lì si creava un’intimità, una complicità tra me e la nonna, quando si tornava a Roma, il tutto veniva restituito all’alta velocità quotidiana della mia famiglia, e quindi si ricominciava la routine con la stessa severità”.
“C’è un altro capitolo, in realtà è un prologo. Ho iniziato a scrivere questo libro con un’immagine ben precisa di mia nonna, e all’inizio c’è una pagina che secondo me la ritrae perfettamente. Mia nonna ha 16 anni ed è molto impaziente, ha un carattere determinatissimo, anche un certo amore per il rischio, perché, ragazzina, scordò le chiavi di casa e invece di aspettare il padre o qualcuno che arrivasse ad aprire la porta, lei decise di salire sul tetto attraverso una scala a chiocciola – il tetto di un palazzo molto alto – e di camminare sul tetto e raggiungere la metà, il culmine della metà, tra il cordolo del tetto e la finestra, che era un lucernario, da dove lei è entrata. Naturalmente dopo credo che si sia accorta di quello che aveva fatto, perché è stata una follia, però questo ritrae bene la determinazione di mia nonna e anche la sua velocità. Perché mia nonna era sempre corsa, ha sempre lavorato tanto, non si è mai fermata, in realtà era veramente qualcosa che aveva dentro di lei, era implacabile. E quindi era impaziente come appunto è dimostrato in questo episodio”.



