sabato, Luglio 27, 2024
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La spinta iraniana per cacciare i marines dall’Iraq

AGI – L’Iran vuole cacciare dall’Iraq le truppe americane e punta a eliminare la presenza dei marines con la collaborazione de governo iracheno, vicino a Teheran. Sono circa 2.500 i militari Usa dislocati nel Paese, sopratutto nella capitale Baghdad e nella regione autonoma del Kurdistan Iracheno nel nord, di supporto agli altri 900 soldati presenti nella Siria settentrionale. Un contingente inviato nel 2014 con il fine di contrastare l’Isis. Arrivati nel 2003 gli americani hanno lasciato l’Iraq nel 2011, salvo farvi ritorno tre anni più tardi su invito di Baghdad. Una presenza che “non ha più senso né giustificazione” perché “i motivi per cui i marines sono in Iraq non esistono più”, ha detto appena ieri un parlamentare iracheno, che ha poi garantito che la decisione di espellere le truppe americane dal Paese è sostenuta “in maniera compatta dal governo e dalle altre forze politiche”.

 

Il premier iracheno Shia Al Sudani aveva già annunciato la formazione di una commissione per mettere fine alla missione americana in Iraq. In occasione del forum di Davos ha rincarato la dose, specificando che l’Isis “non è più una minaccia” e definito la partenza degli americani “fondamentale per la stabilità del Paese”. Musica per Teheran, la cui pressione sul governo di Baghdad non ha fatto che aumentare. Con la crisi in corso a Gaza infatti il sentimento anti-americano cresce e i marines sono sempre più a rischio di finire sotto attacco da parte delle influenti milizie filo iraniane del Fronte di Mobilitazione popolare. Motivazioni che al momento si scontrano contro un muro eretto dagli Usa. Washington ha infatti replicato che il ritiro delle truppe non è in discussione e continua a considerare la propria presenza nel Paese come un modo per rispondere all’influenza di Russia e Iran. Va sottolineato però come anche le milizie filo iraniane abbiano combattuto lo Stato islamico, così come l’assassinio del comandante pasdaran iraniano Qassem Soleimani, avvenuto proprio in Iraq nel 2020 a opera di un drone americano, non sia mai stato digerito da Baghdad. Un episodio che ha fatto saltare gli equilibri, tanto che negli ultimi anni il fronte delle milizie di Mobilitazione popolare, sciiti sostenuti e addestrati da Teheran, è cresciuto e può contare su 150 mila effettivi (dati Middle East Monitor ndr).

 

 

 

Con il numero dei miliziani è aumentata di conseguenza l’influenza di questi ultimi, molti dei quali sono stati inseriti nei ranghi ufficiali di Baghdad che li sovvenziona, utilizzandoli anche per reprimere manifestazioni di dissenso. Tuttavia la crescente influenza di queste milizie è diventata difficile da controllare per il governo iracheno, la spinta a cacciare gli americani aumenta, cosi’ come la minaccia nei confronti delle truppe Usa è destinata ad aumentare. Baghdad è sospesa tra il cedere alla pressione di queste milizie e continuare a ricevere sostegno militare dagli Usa (250 milioni di dollari nel 2022 ndr). Dati che fanno capire come il governo iracheno da un lato vuole che i marines lascino il Paese, ma dall’altro non ha intenzione di rompere le relazioni economiche con la Casa Bianca. Sudani è insomma chiamato a un difficile esercizio di equilibrismo diplomatico tra Teheran e Washington. I proventi della vendita del petrolio iracheno, fondamentali per l’economia, sono depositati presso la Federal Reserve e le finanze di Baghdad sono legate a doppio filo al dollaro. Emblematico quanto accaduto dopo l’assassinio di Soleimani, quando il governo iracheno chiese con decisione alle truppe americane di lasciare il Paese. Una richiesta infrantasi contro le minacce dell’ex presidente americano Donald Trump di tagliare i fondi e sanzionare il commercio con l’Iran.

 

 

 

Sudani è pero’ stavolta sottoposto a una pressione dietro cui si cela la longa manus di Teheran. Il premier è sostenuto da una coalizione di partiti politici di ispirazione sciita finanziati dalla Repubblica Islamica e da quando questo governo è andato al potere il fronte di Mobilitazione popolare è divenuto una presenza costante e minacciosa nelle strade di Baghdad. Iraq e Iran condividono 1.600 chilometri di confine, l’Iraq è il secondo partner più importante per l’export iraniano e sempre grazie all’Iran può coprire circa il 40% del proprio fabbisogno energetico. Affari fiorenti per Teheran che può cosi’ beneficiare dell’afflusso di dollari che Washington destina a Baghdad. Gli ayatollah ne sono consapevoli e per questo puntano ad accrescere le milizie su suolo iracheno e rendere l’aria sempre più’ irrespirabile per i marines costringendoli ad andarsene, sperando che Iraq e Stati Uniti continuino a conservare rapporti economici. 

 

 

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