AGI – Un fronte compatto e trasversale – magistrati, giuristi, associazioni, rappresentanti delle istituzioni – ha levato un grido unanime oggi pomeriggio a Bari, nell’aula della Corte d’Assise, contro la riforma costituzionale che prevede la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri.
Un testo che, nonostante la discussione in commissione non sia conclusa e manchi ancora un relatore, il governo ha deciso di portare ugualmente domani in Aula al Senato, l’11 giugno, con una marcia forzata fondata su strumenti come il “canguro” e il mandato senza relatore.
Il convegno come atto pubblico di denuncia
Il convegno “Riformare la magistratura per non riformare la giustizia?”, organizzato dall’ANM Puglia, si è trasformato in un atto pubblico di denuncia. In apertura, tutti i magistrati presenti hanno indossato la toga con una coccarda tricolore: un gesto simbolico di “allarme democratico”.
“È un momento estremamente delicato – ha dichiarato Antonella Cafagna, presidente dell’ANM Puglia –. La riforma costituzionale arriva in Aula domani, senza il completamento del lavoro parlamentare, ed è un atto grave”.
Per Cafagna, la riforma “non affronterà i problemi strutturali della giustizia”, ma “rischia di peggiorarli”: non parla di organici, non aumenta le risorse, non interviene su mezzi e strumenti. “Non renderà la giustizia più celere, né più equa. Al contrario, mina l’indipendenza della magistratura, esponendola a condizionamenti politici”. E se si indebolisce la magistratura – ha concluso – si compromette la tutela dei diritti dei cittadini.
Le critiche di Pietro Grasso
L’ex presidente del Senato Pietro Grasso, oggi alla guida della Fondazione “Scintille di futuro”, ha definito la riforma “inutile, dannosa e costosa”. “È inutile – ha detto – perché non affronta i problemi reali della giustizia italiana. È dannosa perché esaspera il ruolo del pubblico ministero come semplice accusatore, sganciandolo dal corpo unico della magistratura, e rischia di renderlo più vulnerabile ai poteri esterni. Ed è anche costosa: il bilancio del Consiglio Superiore della Magistratura per il 2024 è di circa 42 milioni di euro. Se si dovessero creare due organi costituzionali distinti – uno per la magistratura requirente e uno per quella giudicante – si triplicherebbero i costi, senza alcun ritorno in termini di efficienza”.
Grasso ha bollato come “grave” anche l’ipotesi del sorteggio per la nomina dei componenti del CSM: “Privare i magistrati della facoltà di scegliersi i propri rappresentanti equivale a svuotare l’autonomia di un organo costituzionale”.
L’intervento del procuratore Rossi
Il procuratore capo di Bari Roberto Rossi ha ricordato che “la Costituzione italiana affida la sovranità al popolo, ma nei limiti delle forme previste dalla Carta. Non possiamo accettare accelerazioni che tradiscono lo spirito democratico”.
La proposta del sorteggio per i membri del CSM – ha aggiunto – “è incostituzionale nel senso profondo: mina la rappresentanza, l’autonomia, la responsabilità interna. E separare il pubblico ministero dal giudice significa rendere il PM meno indipendente, quindi più esposto”.
“Abbiamo indossato la toga – ha detto – non per protestare, ma per difendere la Costituzione. È un gesto di servizio verso i cittadini”.
Un allarme democratico dalla Corte d’Appello
Un segnale definito “di regressione democratica” arriva anche da Franco Cassano, presidente della Corte d’Appello di Bari: “Per la prima volta una riforma non riguarda l’efficienza dei procedimenti, ma l’identità della magistratura. Il sorteggio per il CSM è una forzatura mai vista in altri ordinamenti: nessun altro corpo costituzionale subisce una simile umiliazione democratica. Chiediamo al Parlamento di riflettere prima di ratificare una scelta che indebolisce l’intero sistema di garanzie”.
Renato Nitti smonta le false narrazioni
Il procuratore di Trani Renato Nitti ha attaccato frontalmente uno degli argomenti più ricorrenti nel dibattito politico, rilanciato anche dal ministro Nordio: il presunto scandalo delle mille ingiuste detenzioni annue.
“Ogni anno si eseguono in Italia tra le 80 e le 90 mila misure cautelari – ha detto –. Le richieste di risarcimento per ingiusta detenzione sono circa mille, ma meno della metà viene accolta, e solo in una manciata di casi – meno di dieci – si riscontra una responsabilità disciplinare del magistrato. I dati ufficiali del ministero smentiscono clamorosamente questa narrazione”.
Anche sull’assenza di interrogatori prima degli arresti, altro tema agitato nel dibattito pubblico, Nitti è stato netto: “È falso. Se c’è un vizio procedurale, il giudice del riesame annulla la misura. Il sistema di garanzie funziona, e chi oggi invoca riforme drastiche dovrebbe almeno leggere le relazioni ufficiali prima di parlare”.
L’appello di don Luigi Ciotti
Infine, un intervento carico di pathos e responsabilità civile è stato quello di don Luigi Ciotti, presidente di Libera. “Non volevo parlare, ma non posso tacere. Le mafie cambiano pelle, si adattano, si normalizzano. Ma chi le combatte deve essere messo in condizione di farlo. E oggi questo non accade. Mancano mezzi, personale, strumenti.
Il problema non è la separazione delle carriere, è la mancanza cronica di tutto ciò che serve alla giustizia per funzionare davvero. Riscrivere la Costituzione in questo modo è un errore: l’articolo sull’indipendenza della magistratura va difeso, non indebolito. E noi, come cittadini, dobbiamo stare al fianco dei magistrati. Non possiamo più delegare tutto. È un gioco di potere, e dobbiamo chiamarlo col suo nome”.