AGI – Il cinema è un “laboratorio di speranza” che ha il potere di “salvaguardare e promuovere la dignità umana“. Se non teme il confronto con le “ferite del mondo”, “non sfrutta il dolore” ma “lo accompagna, lo indaga”. Papa Leone XIV riceve il mondo della settima arte, tra registi, attori e maestranze, ed esorta a continuare a “educare lo sguardo”, a essere “un luogo d’incontro, una casa per chi cerca senso, un linguaggio di pace”. Un cinema “che non perda mai la capacità di stupire, continuando a mostrarci anche un solo frammento del mistero di Dio”. Osservando però la “preoccupante erosione” in cui vivono le sale cinematografiche, il Pontefice lancia un appello alle istituzioni affinché cooperino per affermare “il valore sociale e culturale” di un’attività “in pericolo”.
Nella Sala Clementina, un parterre di circa 300 persone, maestri della cinematografia. In prima fila i premi Oscar Cate Blanchett (che ha donato al Papa un braccialetto solidale con gli sfollati); Spike Lee (che ha regalato una canottiera dei New York Knicks con il numero 14 e la scritta “Pope Leo”); Dante Ferretti e Francesco Lo Schiavo; Stefania Sandrelli (“un’emozione indelebile”). E poi Viggo Mortensen che gli ha donato delle lettere, Monica Bellucci, Dario Argento, Marco Bellocchio, Giuseppe Tornatore, Liliana Cavani, Christian De Sica, Silvia Verdone, Luigi Lo Cascio, Maria Grazia Cucinotta, Luca Barbareschi, e Giacomo Poretti (che ha donato al Pontefice il suo libro “La fregatura di avere un’anima”) con la moglie Daniela Cristofori.
I 130 anni del cinema e la ricerca di senso
Proprio in questi giorni il cinema, “arte giovane, sognatrice e un po’ irrequieta”, compie 130 anni, ha ricordato nel suo intervento il Papa. Se inizialmente “appariva come un gioco di luci e di ombre, per divertire e impressionare”, ha saputo poi “manifestare realtà ben più profonde, fino a diventare espressione della volontà di contemplare e di comprendere la vita” raccontandone la grandezza e la fragilità, “interpretarne la nostalgia d’infinito”.
“È bello riconoscere che, quando la lanterna magica del cinema si accende nel buio, s’infiamma in simultanea lo sguardo dell’anima“, ha affermato Leone. Il cinema aiuta lo spettatore “a tornare in sé stesso, a guardare con occhi nuovi la complessità della propria esperienza, a rivedere il mondo come se fosse la prima volta e a riscoprire, in questo esercizio, una porzione di quella speranza senza la quale la nostra esistenza non è piena”. “Mi conforta pensare che il cinema non è soltanto moving pictures: è mettere in movimento la speranza!”, ha proseguito il Pontefice che ha rimarcato come il cinema dialoghi “con chi cerca leggerezza, ma anche con chi porta dentro il cuore un’inquietudine, una domanda di senso, di giustizia, di bellezza”.
Cinema contro algoritmo: l’arte come crocevia
“Oggi, viviamo con gli schermi digitali sempre accesi. Il flusso delle informazioni è costante. Ma il cinema è molto più di un semplice schermo – ha sottolineato -: è un crocevia di desideri, memorie e interrogazioni”, nella trama che si dispiega, “lo sguardo si educa, l’immaginazione si dilata e perfino il dolore può trovare un senso”. E se “la logica dell’algoritmo tende a ripetere ciò che ‘funziona’”, l’arte apre a ciò che è possibile, “la bellezza non è solo evasione, ma soprattutto invocazione”, ha scandito Leone. “Il cinema, quando è autentico, non consola soltanto: interpella. Chiama per nome le domande che abitano in noi e, talvolta, anche le lacrime che non sapevamo di dover esprimere”.
Pellegrini dell’immaginazione e narratori di umanità
Ecco che il lavoro artistico diventa segno luminoso, coloro che fanno cinema sono “pellegrini dell’immaginazione, cercatori di senso, narratori di speranza, messaggeri di umanità“. Un pellegrinaggio “nel mistero dell’esperienza umana” che è attraversato “con lo sguardo penetrante, capace di riconoscere la bellezza anche nelle pieghe del dolore, la speranza dentro le tragedie delle violenze e delle guerre”. La Chiesa “guarda con stima” al cinema e “io desidero rinnovare quell’amicizia”, perché “il cinema è un laboratorio della speranza, un luogo dove l’uomo può tornare a guardare sé stesso e il proprio destino”.
Educare lo sguardo e affrontare le ferite del mondo
Il Papa ha poi citato le parole di un pioniere della settima arte, David W. Griffith, accostandole a un passo del Vangelo di Giovanni. “La nostra epoca ha bisogno di testimoni di speranza, di bellezza, di verità: voi con il vostro lavoro artistico potete esserlo”, ha poi aggiunto esortando a salvaguardare e promuovere la dignità umana e a non avere paura del confronto con le ferite del mondo.
“La violenza, la povertà, l’esilio, la solitudine, le dipendenze, le guerre dimenticate sono ferite che chiedono di essere viste e raccontate” perché “il grande cinema non sfrutta il dolore: lo accompagna, lo indaga. Questo hanno fatto tutti i grandi registi. Dare voce ai sentimenti complessi, contraddittori, talvolta oscuri che abitano il cuore dell’essere umano è un atto d’amore. L’arte non deve fuggire il mistero della fragilità: deve ascoltarlo, deve saper sostare davanti a esso. Il cinema, senza essere didascalico, ha in sé, nelle sue forme autenticamente artistiche, la possibilità di educare lo sguardo“, ha precisato Prevost, ricordando le tantissime persone, centinaia, che lavorano dietro le quinte (“ogni voce, ogni gesto, ogni competenza contribuisce a un’opera che può esistere solo nell’insieme”). “In un’epoca di personalismi esasperati e contrapposti, ci mostrate come per fare un buon film è necessario impegnare i propri talenti. Ma ciascuno può far brillare il suo particolare carisma grazie ai doni e alle qualità di chi lavora accanto, in un clima collaborativo e fraterno“, ha aggiunto invitando a “essere artigiani della speranza“.



