AGI – Smascherato per l’“altare delle torture” che metteva su ogni volta. Crocifiggeva e impalava le sue vittime abbandonandole nel dolore. È stata l’interpretazione del quadro “sadico” – come l’hanno definito gli psicologi dei carabinieri – a mettere nella giusta direzione le forze dell’ordine a caccia del predatore seriale: un insospettabile idraulico incensurato. L’Agi ha letto quel rapporto e questa è la cronaca di un viaggio nelle tenebre alla ricerca di movente e soggetto ignoto. Alla fine sono stati trovati entrambi. L’ultimo dei due, l’autore, si chiama Riccardo Viti, nato a Firenze nel 1959, all’epoca dei fatti soprannominato dalle cronache il “mostro di Ugnano”, località in linea d’aria distante poco più di sei chilometri dal capoluogo toscano.
Nella notte tra 4 e 5 maggio 2014, sotto un viadotto dell’Autostrada A1 ha martoriato la prostituta romena di 26 anni Andrea Cristina Zamfir, oltraggiandola con un legno nel retto che le ha causato lacerazioni intestinali mortali: era madre di due figli, di tre anni e 12 mesi. Per quell’omicidio (comprendendo in sentenza anche altre aggressioni simili) la condanna è stata pronunciata il 25 febbraio 2018: vent’anni di carcere, in via definitiva, col rito abbreviato chiesto e ottenuto dall’avvocato difensore Francesco Stefani. Cioè, beneficiando dello sconto di un terzo della pena, dal 2019 giudizio non più applicabile per i reati punibili con l’ergastolo.
Per quanto riguarda invece le cupe ragioni di quei delitti, ci si è arrivati definendo il profilo psicologico del responsabile dei crimini messo a fuoco dai super-investigatori del Reparto analisi criminologiche (Rac) del Raggruppamento carabinieri investigazioni scientifiche (Racis). I militari non sono stati gli unici impegnati nello sforzo. Anche la Polizia di Stato ha svolto un ruolo determinante.
I tempi stringevano. Agli specialisti dell’Arma non era sfuggito che gli intervalli tra un fattaccio e l’altro si stavano facendo sempre più brevi. Viti andava fermato e in fretta. Gli indizi dai quali partire erano i simboli sulla scena del crimine. È tutto riportato nei rapporti della sezione “Psicologia investigativa”.
È stato confrontando il modus operandi di Viti – oggetti presenti sulle scene e atti cruenti – che gli analisti sono riusciti a comporre il suo volto mentale. Erano simili le caratteristiche dei luoghi scelti, analoghe le distanze percorse dal punto in cui le donne erano state caricate sull’auto a quello della violenza, e sempre lo stesso il tipo di “arma” usata: un bastone.
“Numerose erano state le aggressioni dal 2006 in poi – è scritto nelle carte del Rac – tutte perpetrate con le medesime modalità, con ricorrenze che riguardavano le caratteristiche delle vittime: prostitute, esposte al rischio, facilmente avvicinabili, a volte tossicodipendenti e particolarmente minute”, così che non si potessero difendere.
Gli esperti hanno ordinato i dati raccolti di cinque casi, fino al 2014, e ci hanno lavorato su. Ogni dettaglio è stato trasferito su mappa.
- Primo episodio. Luogo: via del cimitero di Ugnano, nei pressi del ponte dell’A1. Vittima: donna in stato confusionale, vestiti strappati, percossa e oltraggiata con paletto e bastone, trovata con una corda delle tapparelle che le legava le mani alla vita. Distanza da dove è stata prelevata e dove è stata soccorsa: 7,7 chilometri.
- Il secondo, terreno agricolo di Calenzano, sempre in zona: lei nuda, legata a un palo della luce e poi stuprata con un tralcio di legno preso dall’auto. Lunghezza del tragitto: 7,6 km.
- Terzo misfatto su una ragazza romena, pressoché identiche le modalità del crimine.
- Caso numero quattro: lei adescata in piazzale delle Cascine, bloccata con il nastro adesivo (sopra la scritta Azienda ospedaliera universitaria Careggi) a una sbarra di ferro e penetrata con un manico di scopa. Percorso: 7,7 km.
- E per finire, quinto evento ai danni di una “lucciola” conosciuta in piazza della Stazione, a Prato, immobilizzata alla ringhiera del ponte con nastro adesivo e fascette da elettricista. Percorso fatto: 7,2 km.
I carabinieri psicologi hanno comparato le scene del crimine e circoscritto l’area delle azioni violente. Posti simili tra loro? La risposta l’ha data il metodo “Geographical profiling”, cercando di comprendere perché il soggetto ignoto avesse scelto quei siti e provando a capire se ci fossero tratti ricorrenti in ciascuno.
Gli operatori del Reparto sono andati anche oltre. Hanno condotto “escussioni testimoniali di alcune vittime – spiegano -. È stata analizzata la condotta che ha consentito di connotare l’agito dell’assassino di elementi fondamentali per rintracciare la serialità del suo comportamento e attribuire ad alcuni degli strumenti utilizzati per agire le sevizie – aggiungono – un carattere sia strumentale che peculiare rispetto alla figura dell’autore stesso, ipotizzando – si dice in finale – che gli stessi fossero regolarmente utilizzati dall’uomo durante lo svolgimento del suo mestiere”.
Quindi, qual era la psicologia dell’uomo che si stava cercando? “Connotata da una matrice francamente sadica”, stabiliscono i militari.
La pista per arrivare a lui ormai era segnata. C’erano le testimonianze di alcune vittime superstiti, il Dna ricavato dalla saliva lasciata da Viti sul nastro strappato, la scritta sull’adesivo col nome dell’ospedale dove lavorava la sua compagna e alcune immagini della sua auto mentre si allontanava dal “calvario”.
Agli inizi di maggio 2014 le forze dell’ordine arrestano Riccardo Viti mentre è a casa sua, in un luogo non molto distante da una caserma dell’Arma. All’interno la partner e gli anziani genitori di lui. Di fronte a quell’esercito schierato per la cattura, la madre gli ha chiesto: “Ma sei tu il mostro di Ugnano?”. E l’idraulico, incensurato e sadico: “Ho fatto una bischerata”.