AGI – Sviluppare un sistema di intelligenza artificiale che riesca a interpretare i movimenti facciali e comprendere i pensieri che li generano. A questo obiettivo è stato orientato uno studio, pubblicato sulla rivista Nature Neuroscience, condotto dagli scienziati della Fondazione Champalimaud in Portogallo, del Centre National de la Recherche Scientifique e dell’Università di Aix-Marseille. Il team, guidato da Alfonso Renart, Zachary Mainen e Fanny Cazettes, ha utilizzato un modello murino per valutare la correlazione tra i movimenti del muso, le espressioni e i processi decisionali. I ricercatori hanno scoperto che le strategie di problem-solving dei topi possono essere decifrate da sottili movimenti facciali.
Questa scoperta, commentano gli autori, potrebbe offrire una visione senza precedenti del funzionamento del cervello, ma pone anche l’accento sulla necessità di prendere in considerazione misure di salvaguardia della privacy mentale. In uno studio pubblicato precedentemente, il gruppo di ricerca aveva sottoposto gli animali a un rompicapo, per cui dovevano indovinare quale tra due erogatori d’acqua fornisse una ricompensa zuccherina. Il compito necessitava lo sviluppo di strategie decisionali.
Una connessione inattesa
“Ci aspettavamo che i neuroni riflettessero solo la strategia utilizzata per il processo decisionale – riporta Cazettes -, in realtà abbiamo notato che tutte le strategie erano presenti simultaneamente, indipendentemente da quella selezionata. Ciò offre un’opportunità unica per collegare l’attività cerebrale ai movimenti facciali“. Nel nuovo articolo, i ricercatori hanno registrato i movimenti facciali degli animali insieme all’attività dei neuroni, analizzando questi dati attraverso algoritmi di apprendimento automatico. Gli scienziati hanno scoperto che i movimenti del viso erano informativi quanto le popolazioni di neuroni.
Lo specchio dei pensieri
“Il riflesso di specifici schemi di pensiero a livello di movimento facciale – spiega Davide Reato, altra firma dell’articolo -, potrebbe essere stereotipato, proprio come le emozioni“. “Il nostro lavoro – conclude Renart -, dimostra che i video non sono solo registrazioni di comportamenti, ma possono anche fornire una finestra dettagliata sull’attività cerebrale. Sebbene questo sia entusiasmante dal punto di vista scientifico, solleva anche interrogativi sulla necessità di salvaguardare la nostra privacy“.