AGI – Nonostante i prezzi abbiano raggiunto livelli record di 3.500 euro all’oncia, non si attenua l’interesse degli investitori per l’oro che si conferma bene rifugio per eccellenza. Il World Gold Council, che rappresenta le società aurifere, nel suo consueto report, riferisce infatti che la domanda globale del metallo prezioso è aumentata del 3% nel II trimestre, al top dal 2020, raggiungendo 1.249 tonnellate.
In termini di valore, la domanda totale di oro è balzata del 45% su base annua, raggiungendo i 132 miliardi di dollari. Il mercato beneficia del clima di instabilità geopolitica dovuta non solo ai conflitti ma anche alle tensioni commerciali e della situazione di indebolimento della fiducia nel dollaro statunitense.
La domanda complessiva di investimenti, compresi gli acquisti di ETF, lingotti e monete d’oro, è inoltre aumentata del 78% su base annua, facendo del I semestre dell’anno il più forte dal 2013. Ma la spesa per gioielli in oro, rivela il report, ha registrato aumenti generalizzati anche se i volumi sono stati molto modesti, tornando quasi ai livelli della pandemia del 2020.
L’oro utilizzato nella tecnologia ha invece subito la pressione del potenziale impatto dei dazi statunitensi, anche se la crescente domanda per le applicazioni legate all’intelligenza artificiale rimane un settore forte.
Secondo il report, sia gli acquisti che i prezzi sembrano destinati a rimanere elevati. “Per vedere un’inversione di tendenza, bisogna aspettare ad un’esplosione di buon senso e cooperazione da parte dei principali leader geopolitici. E il mondo mi sembra troppo polarizzato perché ciò accada”, ha affermato a FT John Reade, senior market strategist del WGC.
Il metallo giallo ha quindi superato l’euro come seconda riserva più importante al mondo per le banche centrali, che restano un pilastro fondamentale della domanda globale, aggiungendo 166 tonnellate alle riserve auree ufficiali mondiali. Sebbene il ritmo degli acquisti si sia moderato, le prospettive per la domanda delle banche centrali restano positive.
Vero che gli acquisti da parte delle banche centrali hanno segnato il livello più basso dal 2022, probabilmente a causa dei prezzi più elevati, ma “rimangono a livelli significativamente elevati a causa della persistente incertezza economica e geopolitica”: dovrebbero continuare nei prossimi 12 mesi e restano comunque superiori del 41% rispetto alla media trimestrale tra il 2010 e il 2021.
Secondo Philip Diehl, presidente di US Money Reserve, un trader di metalli preziosi, i crescenti “dubbi” sulla leadership economica e geopolitica americana stanno ‘minando’ la fiducia nel dollaro statunitense ed è “inevitabile”, ha affermato a FT, che le banche centrali vogliano coprire la loro esposizione alla valuta con l’oro. Inoltre secondo Reade, si è assistito anche a un certo “allentamento” dell’afflusso di oro negli Stati Uniti all’inizio di quest’anno, dovuto ai timori che il metallo prezioso possa essere soggetto a dazi doganali.
In realtà l’amministrazione statunitense non ha imposto tasse sulle importazioni di lingotti ma l’imposizione da parte della Casa Bianca di una vasta gamma di dazi sui metalli, tra cui l’alluminio e l’acciaio, ha minato la fiducia e creato un clima in cui le aziende stanno adottando un approccio attendista nelle decisioni di investimento.
Nel frattempo, secondo quanto riferito a Reuters da Nitesh Shah, stratega delle materie prime presso WisdomTree, più forte è la voce dell’amministrazione Trump nel manifestare il proprio disappunto per l’attuale politica monetaria, più probabile è che i prezzi dell’oro aumentino. L’oro tende infatti a registrare buoni risultati in periodi di incertezza.
Stamane i prezzi hanno registrato un rimbalzo dopo aver toccato il minimo mensile nella seduta precedente, nonostante le aspettative di un taglio dei tassi da parte della Fed a settembre si siano attenuate. L’oro spot segna un rialzo dello 0,8% a 3.301,49 dollari l’oncia. I futures sull’oro statunitense sono rimasti stabili a 3.295,80 dollari.