mercoledì, Giugno 25, 2025
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L’Unifil tra le rovine del sud Libano: presidio di pace in un paesaggio spezzato

AGI – Muretti a secco, terrazzamenti, giardini fioriti, cisterne d’acqua e serre. È un paesaggio bucolico quello che scorre sotto gli occhi nel sud del Libano, a ridosso della Blue Line, in un contrasto stridente con le macerie che punteggiano le verdi colline. Lo scenario è contrassegnato da bouganville dai colori accesi ed edifici sventrati. Le palazzine sono accartocciate, con colonne di cemento armato decapitate e spunzoni di ferro. Fanno capolino tappeti ormai scoloriti e sedie abbandonate in quelle che erano sale da pranzo, tra vetri e calcinacci. Sui resti delle abitazioni sventolano le bandiere gialle di Hezbollah e quelle verdi di Amal, inframmezzate da quella nazionale con il Cedro del Libano, insieme alle foto dei ‘martiri’ del Partito di Dio, a rivendicare ancora oggi il territorio.

In mezzo a questo paesaggio surreale si muove il convoglio dell’Unifil, i caschi blu dell’Onu che dalla fine degli anni ’70 sono chiamati a fare da forza di interposizione in questa terra martoriata, in un susseguirsi di guerre di cui l’ultimo capitolo si è chiuso solo a fine novembre 2024 quando è stato raggiunto un accordo per l’ennesimo cessate il fuoco tra Israele e Libano. Da allora, le forze armate israeliane hanno cominciato a ritirarsi dal sud del Paese dei Cedri, mantenendo pero’ cinque basi e due buffer zone al di là della Blue Line, in territorio libanese, e continuando a compiere attacchi mirati contro esponenti e strutture ritenute di Hezbollah. Obiettivo dichiarato, evitare che la milizia sciita filo-iraniana rialzi la testa dopo i colpi devastanti inferti con l’uccisione dello storico leader Hassan Nasrallah nel settembre 2024 e la guerra che ne è seguita.

 

 

La regione è uscita dall’ultimo conflitto devastata e completamente spopolata. Agli attacchi durante l’operazione di terra israeliana dello scorso autunno si sono aggiunte “demolizioni controllate degli edifici con esplosivi e bulldozer” per completare l’azione, racconta il generale Nicola Mandolesi, che comanda le forze Unifil nel Settore Ovest.

I caschi blu non hanno mai lasciato le loro postazioni, neanche quelle avanzate, durante il conflitto – un fatto che “ha accresciuto la stima dei libanesi nei confronti di Unifil“, sottolinea il generale – e dalla fine delle ostilità, a metà febbraio, le attività sono “riprese in maniera importante, con il dispiegamento delle forze armate libanesi (Laf) nel sud, divenute nostro partner strategico”.

Dal marzo 2024 a oggi, le attività dei soldati di Beirut “sono quasi duplicate, sono molto più presenti sul territorio”, racconta Mandolesi, riferendo di “attività operative” congiunte giornaliere per “pattugliare il territorio e controllare siti”. “Stiamo andando in aree dove prima era difficile andare per la presenza di Hezbollah”.

Si fanno ispezioni di tunnel, si cercano cassette di munizioni e ordigni inesplosi. C’è anche una ripresa della “mobilità all’interno del settore”, mentre prima erano numerosi i blocchi stradali.Allo stesso modo, “ogni giorno monitoriamo e riportiamo le violazioni: la presenza israeliana sul territorio libanese è una chiara violazione della risoluzione 1701“, cosi’ come le “attività di ricognizione aerea”. Non solo pattugliamento del territorio e monitoraggio: l’Unifil è ‘schierata’ anche a sostegno della popolazione.

 

“Scortiamo gli agricoltori nelle aree distrutte per permettere loro di riprendere i macchinari agricoli abbandonati o prendersi cura delle coltivazioni stagionali, come le piantagioni di mango, tabacco, avocado”, prosegue il comandante del Settore Ovest.

Ci sono anche progetti per ristabilire “i pannelli solari e riattivare i pozzi”, oltre all’assistenza sanitaria, ai seminari per i giovani all’università e a eventi organizzati per i bambini che fino a pochi mesi fa vivevano una realtà di guerra. A tutto ciò si aggiungono gli incontri con i sindaci e i leader religiosi locali.Passiamo attraverso una fila continua di macerie, villaggi completamente devastati come Yarine e Marwahine. Il livello di distruzione è totale, per miliardi e miliardi di dollari di danni. “Si tratta di ricostruire tutto e capire anche come smaltire l’ammasso di macerie” ma “il popolo libanese è resiliente”, assicura Mandolesi.

 

 

 

 

 

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