AGI – La guerra a Gaza, scatenata dal massacro del 7 ottobre, poteva essere chiusa tempo fa e l’obiettivo di eliminare Hamas dalla Striscia non è raggiungibile se non si coinvolge l’Autorità nazionale palestinese. Ne è convinto Itamar Rabinovich, ex ambasciatore israeliano a Washington negli anni degli Accordi di Oslo e capo negoziatore con la Siria negli anni ’90, nonché vice presidente dell’influente Institute for National Security Studies (Inss) e professore emerito all’Università di Tel Aviv.
“Credo che dopo il massacro del 7 ottobre e le atrocità perpetrate da Hamas, Israele abbia dovuto rispondere con molta forza. Ma avrebbe potuto porre fine alla guerra almeno sei mesi fa, se non di più, perché la guerra non sta andando da nessuna parte”, ha affermato in un’intervista all’AGI. Per Rabinovich, “se Israele vuole sbarazzarsi di Hamas, deve coinvolgere qualcun altro, altrimenti Hamas rimane. Ma questo qualcun altro, un’altra entità, perché sia fattibile, deve includere l’Autorità nazionale palestinese. La coalizione di Netanyahu non vuole farlo, quindi sono intrappolati in un circolo vizioso: senza coinvolgere qualcuno al posto di Hamas, si rimane bloccati con Hamas”.
Di fronte alle pressioni in patria e dall’estero per raggiungere un accordo che sospenda i combattimenti nella Striscia e porti alla liberazione degli ostaggi, il premier israeliano Benjamin Netanyahu avrebbe dato un via libera in linea di principio alla nuova proposta Usa, mentre da Hamas i segnali che arrivano sono negativi. L’intesa prevederebbe il rilascio di 10 ostaggi vivi e 18 corpi con due mesi di tregua e la scarcerazione di 125 detenuti palestinesi condannati per terrorismo insieme a oltre un migliaio di palestinesi catturati dopo l’inizio della guerra.
“Credo che l’abbia accettata sotto la pressione di Trump, ma dal suo punto di vista, si tratta di un accordo parziale. Non porrebbe fine alla guerra, solo una parte degli ostaggi verrebbe restituita e ci sarebbero due mesi di cessate il fuoco con l’impegno a negoziare, non per porre fine alla guerra, ma a colloqui. Quindi, (Netanyahu) può conviverci e la sua coalizione non necessariamente crollerà per questo”, ha affermato l’ambasciatore in pensione, che guarda all’orizzonte politico del 2026 quando in Israele sono previste elezioni.
“È probabile che questa coalizione rimanga unita perché non ha opzioni migliori” ed “è molto probabile che questo governo sopravviva fino” al momento del voto, ha sostenuto Rabinovich, ritenendo che “allo stato attuale delle cose, è probabile che perda le elezioni. Ma questa è una stima”.
Di certo c’è che al momento la Casa Bianca sta facendo intense pressioni perché venga raggiunto un accordo per lo stop dei combattimenti a Gaza e la liberazione degli ostaggi. Le ultime mosse – come l’accordo con gli Houthi, i negoziati con Iran e Hamas, così come il viaggio del presidente Usa nel Golfo senza una tappa nello Stato ebraico – hanno fatto temere all’alleato israeliano un raffreddamento nei rapporti, benché pubblicamente venga affermato il contrario.
“Penso che Trump abbia perso la pazienza con Netanyahu. Così ha deciso di rinunciare a parte delle consultazioni e di fare le cose per conto suo, informandolo a posteriori o lasciando che lo venga a sapere. È un cambio di politica, non è l’intimità che conoscevamo in passato”, ha sottolineato il professore. Quanto alla Siria, c’è stato un enorme cambiamento lo scorso dicembre con la caduta dell’ultradecennale regime di Bashar al-Assad e l’arrivo al potere di Ahmad al Sharaa, passato da leader islamista radicale con una taglia americana sulla testa a presidente ad interim che stringe la mano a Trump. Quale sarà il futuro del Paese e i nuovi equilibri nella regione resta da scoprire.
“Al-Sharaa e tutto il suo regime sono ancora un enigma. La caduta di Assad e il venir meno di un importante alleato, insieme ad Hezbollah, così come dell’accesso al Mediterraneo, hanno rappresentato grandi perdite per l’Iran. E questo è stato positivo per Israele. Ma ci sono molti, molti punti interrogativi” sul futuro, rispetto a “dove il nuovo regime manterrà il potere, cosa farà esattamente, quali saranno i suoi rapporti con la Turchia…”.
Per Rabinovich, “quello che Israele dovrebbe fare, e credo che lo stia facendo, è cercare di costruire canali di comunicazione con il nuovo regime”.
“Non siamo nella posizione di poter provare a risolvere la questione israelo-siriana” al momento, ne’ sembra “fattibile” l’adesione di Damasco agli Accordi di Abramo come suggerito da Trump ad al-Sharaa nell’incontro a Riad questo mese.
“Ma penso che possiamo almeno stabilire delle linee di comunicazione per evitare scontri e aspettare che la situazione in Siria si chiarisca”, ha aggiunto l’ambasciatore. Quanto a un patto di non aggressione menzionato ieri dall’inviato speciale Usa Thomas Barrack, “sarebbe un ottimo sviluppo, se davvero si concretizzasse”.