AGI – Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, è arrivato al Congresso degli Stati Uniti per un incontro con il leader della maggioranza repubblicana al Senato, John Thune. Prima dell’incontro, Netanyahu ha dichiarato ai giornalisti: “Vogliamo porre fine al domini di Hamas a Gaza, in modo che non rappresenti più una minaccia. Nel perseguire il nostro obiettivo comune, abbiamo condiviso strategia e tattiche, che implicano un coordinamento completo piuttosto che pressioni. Il presidente Trump vuole un accordo, ma non a qualsiasi prezzo. Anch’io. Israele ha altre richieste e stiamo lavorando insieme per raggiungerle. C’è cordialità e una buona cooperazione qui come mai prima: nulla di simile è mai esistito con nessun altro presidente. Stiamo lavorando diligentemente per ottenere il rilascio degli ostaggi, mantenendo le nostre posizioni.”
Il leader di Tel Aviv ha dichiarato, inoltre, che esistono “molte possibilità” di raggiungere un accordo di tregua con Hamas nei negoziati in corso a Doha. Dal canto suo, il movimento islamista palestinese si è detto disposto a liberare dieci ostaggi trattenuti a Gaza. I colloqui tra Hamas e Israele sono cominciati domenica nella capitale del Qatar, con la mediazione di Stati Uniti, Qatar ed Egitto. “Credo che ci stiamo avvicinando a un accordo. Penso che ci siano molte probabilità che si arrivi a una soluzione”, ha dichiarato Netanyahu a Fox Business Network, il giorno dopo l’incontro avvenuto a Washington con il presidente statunitense Donald Trump, che ha espresso il desiderio di vedere raggiunto un accordo.
Ore dopo, Hamas ha riconosciuto la difficoltà dei negoziati “a causa dell’intransigenza” israeliana, ma ha affermato di aver accettato di liberare dieci ostaggi al fine di “garantire il successo degli sforzi in corso”. “Continuiamo a lavorare con serietà e spirito positivo con i mediatori per superare gli ostacoli”, ha dichiarato il gruppo in un comunicato ufficiale. Durante l’attacco del 7 ottobre 2023 nel sud di Israele, che ha dato inizio alla guerra, i miliziani di Hamas hanno rapito 251 persone. Di queste, 49 si trovano ancora nella Striscia di Gaza, 27 delle quali sono state dichiarate morte dall’esercito israeliano.
Attualmente, permangono punti di disaccordo: Netanyahu insiste sulla necessità che Israele mantenga il controllo della sicurezza a Gaza, mentre Hamas chiede il ritiro delle truppe israeliane, garanzie sul proseguimento del cessate il fuoco e sulla distribuzione degli aiuti umanitari da parte dell’ONU e di altre organizzazioni riconosciute.
Sulla stessa linea di Netanyahu, il ministro degli Esteri israeliano Gideon Saar ha dichiarato mercoledì che Israele è determinato a ottenere un accordo sugli ostaggi e una tregua. “Credo sia fattibile. Se si raggiungerà un cessate il fuoco temporaneo, potremo negoziare un cessate il fuoco permanente”, ha affermato Saar. Per il capo di Stato Maggiore israeliano Eyal Zamir, sono le operazioni militari a spingere verso l’accordo. “Abbiamo ottenuto molti risultati importanti, abbiamo indebolito le capacità militari e di governo di Hamas”, ha detto Zamir in un discorso televisivo. “Abbiamo creato le condizioni per avanzare verso un’intesa per la liberazione degli ostaggi”. Martedì, l’inviato speciale degli Stati Uniti per il Medio Oriente, Steve Witkoff, ha dichiarato di sperare che entro la fine della settimana si possa raggiungere un accordo per avviare un cessate il fuoco di 60 giorni. Secondo Witkoff, il progetto prevede la restituzione di dieci ostaggi vivi e nove cadaveri. Una fonte palestinese ha riferito che la delegazione israeliana rifiuta di autorizzare la libera circolazione degli aiuti umanitari nella Striscia di Gaza e si oppone al ritiro dei propri soldati dalle aree occupate a partire da marzo. “La delegazione israeliana si limita principalmente ad ascoltare invece di negoziare, il che riflette l’attuale politica di ostruzione di Netanyahu”, ha dichiarato un’altra fonte palestinese.
“Come un terremoto”
Intanto a Gaza i combattimenti proseguono. La Protezione civile locale ha riferito che mercoledì 22 persone sono morte in attacchi israeliani. “L’esplosione è stata enorme, come un terremoto”, ha raccontato telefonicamente all’AFP Zuhair Judeh, 40 anni, residente nel campo profughi di Al Shati, dove sono decedute dieci persone, tra cui sei bambini, secondo i servizi di emergenza di Gaza. A causa delle restrizioni imposte da Israele ai media e delle difficoltà di accesso alla zona, AFP non è in grado di verificare in modo indipendente il numero delle vittime né le dichiarazioni delle parti.
L’esercito israeliano ha annunciato la morte di un proprio soldato a Khan Yunis, nel sud della Striscia, ucciso in uno scontro con miliziani usciti da un tunnel che avrebbero tentato di catturarlo. L’attacco del 7 ottobre ha provocato 1.219 morti in Israele, per la maggior parte civili, secondo un conteggio dell’AFP basato su dati ufficiali israeliani. Nella Striscia di Gaza, secondo il Ministero della Salute gestito da Hamas, almeno 57.680 palestinesi sono morti dall’inizio della campagna militare israeliana in risposta all’attacco. Si tratta in gran parte di civili, e i dati sono considerati affidabili dall’ONU.