martedì, Settembre 16, 2025
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Non c’è nulla in Europa come l’Athletic Bilbao

AGI – Non c’è nulla di paragonabile all’Athletic Bilbao nel calcio europeo. Attorno allo stadio San Mamés, nel cuore della città, tutto parla del legame viscerale tra il club e la sua gente. Pub, ristoranti, negozi: ovunque spuntano sciarpe, gagliardetti e bandiere biancorosse. Ma accanto ai colori sociali sventola anche l’ikurriña, la bandiera dei Paesi Baschi. Bianco, rosso e verde che raccontano un’identità profonda, radicata nella lingua, l’euskera, nelle tradizioni e nella storia. 

Entrare nel museo dell’Athletic significa immergersi in un mondo orgoglioso, complesso, fedele fino al midollo alla propria filosofia. Da più di un secolo il club vive una missione unica: schierare soltanto giocatori provenienti da quella regione allargata che i baschi chiamano Euskal Herria, a cavallo tra il nord della Spagna e il sud-ovest della Francia, con poco più di tre milioni di abitanti. Non è una regola imposta dall’esterno, ma una scelta identitaria che il club rivendica come la propria filosofia. L’area comprende le province storiche di Biscaglia, Gipuzkoa e Alava, ma anche la Navarra e i Paesi Baschi francesi (Labourd, Soule e Bassa Navarra), che includono città come Biarritz, Bayonne e Mauléon-Licharre. 

 

 

Una lunga storia

Le origini sono controverse. L’Athletic, fondato nel 1898, inizialmente schierava anche stranieri, soprattutto britannici, che portarono il calcio a Bilbao (I leoni dello stemma hanno quell’origine lì). Secondo la versione più romantica, la scelta di usare solo giocatori baschi risale al 1911, quando il club fu squalificato dalla Coppa del Re per aver schierato calciatori ritenuti “non idonei”. Altri storici, però, sostengono che la filosofia sia frutto delle regole spagnole di quegli anni più restrittive sugli stranieri e dell’abbondanza di talenti locali. L’ultimo giocatore non basco a vestire la maglia dell’Athletic fu l’inglese Andrew Veitch, che disputò un’amichevole contro il Civil Service FC di Londra proprio nell’aprile del 1911.

Il quadro, poi, si complica perché in questi territori convivono altre squadre di tradizione e livello, che difendono gelosamente i talenti cresciuti nelle proprie cantere. A San Sebastián c’è la Real Sociedad, a Vitoria-Gasteiz l’Alavés, squadre ormai stabilmente in Liga. Poco più in basso, in Segunda Division, c’è l’Eibar. E nella vicina Navarra gioca l’Osasuna, padrone di casa a Pamplona. La concorrenza, insomma, è feroce. E allora, forse, sorprende ancora di più il fatto che la squadra di Bilbao è una delle poche a non essere mai retrocesse dalla Primera Division spagnola da quando è stata fondata nel 1929.

E non pensate che sia una questione di etnia o colore della pelle. La svolta, dal punto di vista, arrivò nel 2011, quando Jonas Ramalho – nato a Bilbao da madre basca e padre angolano – divenne il primo giocatore nero nella storia del club. Oggi i fratelli Iñaki e Nico Williams, figli di genitori ghanesi ma nati in Spagna, sono le due stelle della squadra. Nascere in quelle terre significa essere baschi. E questo, per l’Athletic, è sufficiente. Tutto il resto non conta nulla.

 

 

Non basta, invece, avere un parente originario dei Paesi Baschi per indossare la camiseta biancorossa. Chiedete a Diego Forlán L’attaccante uruguaiano fu vicino a giocare al San Mamés grazie a una nonna di San Sebastián. “Ma a 15-16 anni dovette partire per il Sudamerica”, raccontò ad AS. Un legame, però, giudicato forse troppo tenue per derogare alle regole. La curiosità? Nel corso della sua carriera in Liga, la squadra a cui Forlán ha segnato più gol in assoluto è stata proprio l’Athletic Bilbao.

Dalle origini al ritorno in Champions

A Bilbao non è raro vedere uomini e donne indossare la maglia della squadra in ogni stagione, anche d’estate, quando i campionati si fermano. L’entusiasmo per l’Athletic si respira ovunque, per le strade della città. Ma all’inizio della sua storia, in realtà, l’Athletic giocava in maglia bianca. Nel 1902, dopo aver ricevuto una donazione di maglie blu e bianche da un irlandese residente a Bilbao, cambiarono il kit. Poi, nel 1910, il club incaricò un suo membro, Juan Elorduy (che si trovava in Inghilterra) di procurarsi delle maglie blu e bianche simili a quelle inglesi; non trovandole, prese quelle a strisce rosse e bianche del Southampton. Da allora, i calciatori hanno principalmente indossato quei colori.

Nel 1983, dopo la vittoria della Liga, l’Athletic decise di celebrare il successo in un modo unico: portando la squadra e il trofeo sul fiume Nervión a bordo di una gabarra, una chiatta piatta tipica del porto oceanico. Migliaia di persone si riversarono lungo le sponde per salutare i loro eroi, trasformando quell’immagine in un simbolo di orgoglio cittadino. Da allora la gabarra è rimasta la barca delle grandi occasioni: si tira fuori soltanto per celebrare successi storici, diventando una sorta di cattedrale galleggiante del tifo rojiblanco. 

Per rivederla solcare il fiume, però, ci sono voluti quarant’anni. L’Athletic non sollevava un trofeo dalla Copa del Re del 1984, un digiuno che sembrava infinito per un club cresciuto nel culto della gloria locale. Nel 2024 è arrivata finalmente una nuova Coppa del Re, conquistata ai rigori contro il Mallorca. Un trionfo che ha fatto esplodere la città e riportato la gabarra a navigare sul Nervión, davanti a una marea di tifosi in festa. Più che un semplice titolo, è stato il segno che, anche con risorse limitate e una filosofia unica in Europa, l’Athletic resta capace di resistere, competere e vincere, sorretto da un’identità granitica e da una comunità che non lo abbandona mai.

 

 

Il ritorno in Champions

Lo scorso anno i Leones hanno vissuto una cavalcata europea che li ha portati fino alla semifinale di Europa League: dopo aver eliminato la Roma, si sono però dovuti arrendere al Manchester United. Una doppia sconfitta dolorosa, resa ancora più amara dal fatto che la finale si sarebbe giocata proprio al San Mamés o come lo chiamano ancora molti tifosi, “La Catedral”. Le soddisfazioni, però, sono arrivate dalla Liga: il quarto posto ha garantito il ritorno in Champions League, competizione che mancava dalla stagione 2014-2015. 

E non ci poteva essere avversario migliore dell’Arsenal per festeggiare il ritorno nella massima competizione europea. Non solo per il lignaggio del club londinese, ma per tutti gli intrecci ‘baschi’. Kepa Arrizabalaga, secondo portiere dei Gunners, è nato a Ondorrea ed è cresciuto nelle giovanili dell’Athletic prima del trasferimento record al Chelsea nel 2018. Per lui le cose non sono andate benissimo in Inghilterra ma il talento è acnora tutto lì e chissà che un giorno non possa tornare a respirare l’aria di casa. L’allenatore, Mikel Arteta, è basco di San Sebastian e ha giocato nella Real Sociedad. Stessa cosa per altri due centrocampisti spagnoli in rosa, Mikel Merino e Martín Zubimendi. 

“Speriamo di rimanere fedeli a ciò che siamo e dimostrarlo in Champions, provando che si può competere in Europa anche con la filosofia dell’Athletic”, ha detto Ernesto Valverde alla vigilia della sfida. L’allenatore dei Leones, nato in Estremadura ma cresciuto a Vitoria-Gasteiz, è considerato dalla gente basca come uno di famiglia. Condivide valori e sensibilità che i tifosi custodiscono con gelosia, e per questo è rispettato come pochi. Ed è sicuramente l’uomo giusto per guidare il ritorno dell’Athletic, e dei suoi devoti tifosi, sul palcoscenico più importante del calcio europeo.

 

 

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