sabato, Luglio 26, 2025
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Non è reato aiutare a morire il malato che non può suicidarsi

AGI – Con una sentenza che segna un punto cruciale nel dibattito sul fine vita, la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile la questione sulla punibilità di chi aiuta materialmente un malato a porre fine alla propria vita, quando questi non può farlo autonomamente. Sebbene la Corte non sia entrata nel merito, ha stabilito un principio fondamentale: il Servizio Sanitario Nazionale ha il dovere di cercare e fornire al paziente ogni dispositivo tecnologico esistente per garantirne l’autodeterminazione.

Il caso sollevato dal Tribunale di Firenze

Il caso era stato sollevato dal Tribunale di Firenze, a cui si era rivolta una persona affetta da sclerosi multipla. Il suo stato di salute rientrava pienamente nelle condizioni per l’accesso al suicidio medicalmente assistito, come già stabilito dalla storica sentenza della stessa Corte (la n. 242 del 2019) e certificato dall’azienda sanitaria competente. Tuttavia, a causa della progressione della malattia, la persona era completamente priva dell’uso degli arti, rendendo impossibile l’autosomministrazione del farmaco letale.

Richiesta di assistenza e dubbi di costituzionalità

Di fronte a questa impossibilità e all’irreperibilità sul mercato di strumenti adatti – come una pompa infusionale attivabile con la voce o con gli occhi – il paziente aveva chiesto al tribunale di accertare il suo diritto a ricevere il farmaco da un terzo. Il Tribunale di Firenze aveva quindi sollevato dubbi sulla costituzionalità dell’articolo 579 del codice penale, quello che punisce l’omicidio del consenziente. Secondo il giudice, punire il terzo che interviene in queste specifiche circostanze creerebbe un’irragionevole disparità di trattamento rispetto a pazienti ancora in grado di compiere l’ultimo gesto, ledendo di fatto il diritto all’autodeterminazione del malato.

La decisione della Corte Costituzionale

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 132 depositata oggi, ha però bloccato la questione sul nascere, dichiarandola inammissibile per un vizio di forma. Secondo i giudici costituzionali, il Tribunale di Firenze non ha motivato in modo “adeguato” e “conclusivo” l’effettiva irreperibilità di un dispositivo per l’autosomministrazione. La sua valutazione si è basata unicamente sulle “semplici ricerche di mercato” effettuate dall’azienda sanitaria locale.

Necessità di un’indagine più approfondita

La Consulta ha chiarito che il giudice avrebbe dovuto invece attivare organismi più autorevoli e specializzati a livello centrale, come “quanto meno, l’Istituto Superiore di Sanità“.

Il diritto all’assistenza del SSN

Pur senza decidere nel merito, la Corte ha scolpito un principio di portata enorme: la persona che ha ottenuto il via libera per il suicidio assistito è titolare di una “situazione soggettiva tutelata“. Questo si traduce nel diritto di essere accompagnato dal Servizio Sanitario Nazionale (SSN) in tutta la procedura. Tale diritto, sottolinea la sentenza, “include il reperimento dei dispositivi idonei, laddove esistenti, e l’ausilio nel relativo impiego”. Se tali strumenti fossero reperibili in tempi ragionevoli, la paziente “avrebbe diritto ad avvalersene”.

Il ruolo di garanzia del SSN

In conclusione, la sentenza affida al Servizio Sanitario Nazionale un preciso “ruolo di garanzia“, specialmente verso le persone più fragili, obbligandolo a un impegno attivo per rendere concreta una scelta di libertà che altrimenti resterebbe solo sulla carta.

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