AGI – “Quando i poveri si convincono che i propri problemi dipendono da chi sta peggio di loro, siamo di fronte al capolavoro delle classi dominanti”. Lo afferma il sindacalista e saggista camerunense, Yvan Sagnet, e l’affermazione è condivisa da Padre Giulio Albanese, comboniano, ex direttore della Misna e attuale Direttore delle Comunicazioni Sociali e della Cooperazione Missionaria del Vicariato di Roma.
Albanese è l’autore dell’approfondito libro ‘Afriche, inferno e paradiso’, edito da ‘Libreria Editrice Vaticana’, che raccoglie gli articoli più recenti di Padre Giulio sul caleidoscopio ‘Africa’ con un solo “imperativo ideologico”: quello di “documentarsi per documentare”. Per capire qualcosa dell’Africa bisogna partire dal capitolo dedicato a Nelson Mandela, l’uomo che, dopo 27 anni di prigione, decise da Presidente di concedere l’amnistia ai razzisti bianchi in cambio della verità. Non ci fu alcun processo di Norimberga. “Mandela – scrive Albanese – era convinto che per quanto fossero legittime le istanze di liberazione della maggioranza nera oppressa dall’apartheid, occorreva andare al di la’ della rivincita storica delle popolazioni autoctone sul regime segregazionista”.
Come si spiega questo atteggiamento di riconciliazione? Padre Giulio Albanese, profondo conoscitore dell’Africa fin dal 1982, che ha rischiato di essere ucciso in Uganda nel 2002, usa una sola parola: ‘Ubuntu’. Cosa significa ‘Ubuntu’ concetto dalla forte valenza sociale nelle lingue dei popoli zulu e xhosa? La studiosa Lia Diskin, vincitrice del premio Unesco 2006 per i Diritti umani e la Cultura della Pace, racconta che, un giorno, in Sudafrica, un antropologo pensò di fare un test mettendo un cesto pieno di frutta sotto a un albero, dicendo poi al gruppo di ragazzi presenti in quel luogo che chi tra loro fosse arrivato primo avrebbe vinto tutti i frutti. Al suo segnale di partenza, tutti i bambini si presero per mano e corsero insieme, poi si misero in cerchio per godersi comunitariamente il premio promesso. L’uomo chiese perché mai avessero evitato la competizione. Tutti insieme risposero: “Ubuntu!”. Se proviamo a tradurla in italiano – spiega l’autore – potremmo dire: “Io sono perché tu sei” oppure “Una persona diventa umana attraverso altre persone”.
L’Occidente deve ancora sforzarsi per capire l’Africa. Nella prefazione il Cardinale Francesco Montenegro scrive: “è un continente dove si parlano oltre duemila lingue, eppure Joseph Ki-Zerbo, storico burkinabè, riferendosi al colonialismo culturale in Africa affermava: ‘Da piccoli, a scuola dovevamo studiare un libro di storia francese che comincia con ‘I Galli, nostri antenati…’. All’inizio della nostra formazione c’era dunque deformazione. Abbiamo ripetuto meccanicamente quello che volevano inculcarci'”.
L’Occidente ha però un competitor temibile per i rapporti con l’Africa: la Cina. Nel 2024 il valore delle importazioni e delle esportazioni tra la Cina e l’Africa è stato di 295,56 miliardi di dollari, dato in incremento sugli anni precedenti. A ottobre 2023, la Cina costituisce la seconda destinazione delle esportazioni agricole africane. Si prevede che entro il 2035 il volume annuale di scambi commerciali Cina-Africa raggiungerà i 300 miliardi di dollari più una ingente somma che verrà destinata all’industrializzazione dei Paesi africani. Di grande rilievo è il coinvolgimento delle società di comunicazione Huawei e ZTE, che ha sviluppato partnership strategiche con i principali operatori di telecomunicazione africani: da MTN a Sonatel, da Algerie Telecom a Maroc Telecom. La Cina ha inoltre pianificato di fornire a più di 10mila villaggi africani servizi di TV digitale satellitare.
Oggi in Africa ci sono 46 Istituti Confucio per diffondere la cultura cinese (sul modello di British Council, Goethe Institut o gli Istituti italiani di cultura). Sedici Paesi africani hanno inserito la lingua cinese nei loro sistemi scolastici nazionali e una trentina di università hanno istituito specializzazioni legate alla cultura cinese.
A differenza di Fmi e Banca Mondiale che, per erogare prestiti, chiedono riforme e trasparenza, la Cina adotta la “non ingerenza” nei cinque principi della “coesistenza pacifica”. I cinque principi, promossi dalle autorità cinesi, sono: rispetto reciproco della sovranità e dell’integrità territoriale; non aggressione; non interferenza negli affari interni; uguaglianza e beneficio reciproco; coesistenza pacifica.
Il tutto con uno sguardo di lungo periodo per la formazione delle future classi dirigenti africane. Il 22 febbraio 2022 Xi Jinping ha inviato personalmente un messaggio alla Mwalimu Julius Nyerere Leadership School di Kibaha, in Tanzania. La scuola per leader è un progetto congiunto del Partito Comunista Cinese con MPLA (Angola), FRELIMO (Mozambico), SWAPO (Namibia), CCM (Tanzania), ANC (Sudafrica), ZANU-PF (Zimbabwe).
Come spiega Yun Sun, una delle più accreditate analiste della Cina contemporanea, l’impegno profuso dal Governo di Pechino nella formazione dei quadri di partito africani è “geograficamente espansivo, istituzionalmente sistematico e psicologicamente e politicamente impattante sulle scelte e le preferenze dei partiti politici africani e, quindi, sul panorama politico africano”.