mercoledì, Novembre 5, 2025
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Paolo Conte si racconta con 143 opere su carta ‘inedite’

AGI – “Ho due vizi capitali: il primo è il disegno, il più antico. Poi è venuta la musica“. È un viaggio per scoprire il lato più intimo e inedito di un artista che ha fatto della libertà espressiva il suo segno distintivo, la mostra “Paolo Conte. Original”. L’esposizione apre oggi nella ‘sua’ Asti ed è visitabile fino al primo marzo. Promossa da Fondazione Asti Musei e Arthemisia, e curata da Manuela Furnari, è la più ampia mostra mai dedicata in Italia e all’estero al grande musicista, con 143 lavori su carta eseguiti con tecniche diverse.

Da vedere, opere mai esposte, tra cui Higginbotham del 1957, a tempera e inchiostro, dedicata a uno dei primi grandi trombonisti jazz. Nucleo importante della mostra è la selezione di tavole tratte dalle oltre 1800 di Razmataz, l’opera interamente scritta, musicata e disegnata da Paolo Conte. Infine, una terza sezione di opere su cartoncino nero in cui si affida alla suggestione delle linee e dei colori in un omaggio alla musica classica, al jazz, alla letteratura, all’arte.

La Visione Artistica di Paolo Conte: Pittura e Musica a Confronto

“Mentre la musica ti stimola continuamente, la pittura ti dà grande tranquillità e una rilassatezza molto piacevole – spiega Paolo Conte – sicuramente ci sono rapporti tra queste due attività molto ambiziose, non possono non esserci, ma si tratta di due arti molto diverse”. Il Maestro definisce la sua tecnica pittorica “semplice”, si tratta di “tutte opere su carta, ho sempre lavorato su un piano orizzontale. Per fare questa mostra ho fatto mettere insieme tantissimi lavori tra le illustrazioni che avevo fatto per Razmataz.

Ci sono anche altri disegni che avevo conservato nei cassetti”. Poi aggiunge: “Un po’ per pudore, perché non voglio fare la parte del pittore a tutti i costi, un po’ per fare compagnia al pubblico della mostra, ho messo molti titoli proprio per aiutare i visitatori a concentrarsi sul significato delle opere. Ho messo dei titoli anche un po’ malandrini, un po’ curiosi e spiritosi”. Paolo Conte racconta che “molti di questi disegni sono stati fatti molto in fretta, dovevano raccontare una storia”, “forse non ho la pazienza nel dipingere che ho quando compongo musica – dice – è una questione di lotta contro il tempo, la pittura mi passa, la musica mi trattiene.

 

E quando la mia mano si stanca di me, è ora di smettere”. La passione per la pittura e il disegno è nata molti anni fa da “una matita“. “Da bambino – spiega – durante la guerra ho preso qualche lezione di disegno da una signorina che aveva fatto il liceo artistico a Torino. Alla prima lezione mi ha detto: ‘ti insegno come si tempera la matita‘. Mi ha fatto buttare il temperino, mi ha portato in cucina e mi ha insegnato ad affilare la matita con il coltello”.

I Colori delle Note: La Sinestesia di Paolo Conte

Ma che colore hanno le note? “Ogni tonalità – afferma il maestro – ha un suo colore specifico. Qual è il colore della tonalità di fa, di do? Ognuno risponderebbe in maniera diversissima. Per me esiste una tavolozza assolutamente precisa: il do per esempio è un bianco pallido, il re è marròn chiaro, mi è verde, fa è rosso, sol è bianco, la bemolle è rosso veneziano, si bemolle è blu notte e si è grigio scuro”. “Ma io non ho l’orecchio assoluto – scherza – quindi se uno schiaccia un tasto del pianoforte e mi chiede che nota è, rispondo marròn o antracite scuro”.

Dal Trattore al Jazz: I Periodi Artistici e i Sogni di Conte

Musica e pittura. Tutto ispirato, spiega Paolo Conte, da “un trattore“. “Sia nella passione per la musica, sia in quella per la pittura, protagonista è stato un trattore – racconta – da bambino stavo delle ore nella tenuta di mio nonno in campagna ad ascoltare il trattore del vicino, quando si avvicinava, sentivo i suoni metallici, poi quando si allontanava emetteva una specie di muggito arcano, lì si sentiva la musica“. E come Picasso, il pittore e cantautore astigiano ha “attraversato diversi periodi“.

“Nella pittura – spiega – il mio primo periodo è stato appunto il trattore. Ne ero innamorato, disegnavo tutti i particolari, sfidavo addirittura me stesso girando il foglio al contrario, cercavo di non sbagliare nulla. Poi c’è stato il periodo dei cavalli da tiro, quello delle donne nude e infine i suonatori di jazz. E mi sono fermato lì”. La mostra copre un arco di tempo di quasi settant’anni. “Io sono figlio del 900 – afferma – il 900 è stato un secolo terribile con la Shoah e Hiroshima, ma è stato anche un secolo interessantissimo, un secolo di avanguardie, si passava velocemente da una all’altra. Del 900 ho amato soprattutto la prima parte, gli anni 10 e 20 che contengono il succo della novità, non solo nel jazz ma anche nella pittura, nella musica classica. Tante cose non le abbiamo ancora capite, spero che da qualche mia opera vengano fuori degli insegnamenti”. Dopo la mostra, al momento, pare non esserci alcun progetto all’orizzonte. “Oggi vivo un momento di pausa – dice – sto tranquillo a guardare la Tv sul sofà“. Ma sogna che Razmataz si trasformi in un film, nel caso che “qualche produttore sia pronto a investire”.

 

 

 

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