AGI – Dimenticate il paziente borghese, angosciato dal padre e intrappolato nei soliti drammi edipici. La psicoanalisi del Novecento parlava a un mondo che non esiste più. E i suoi strumenti, se non si aggiornano, rischiano di diventare poco più che reperti museali. È questa la provocazione al centro di I popoli dell’Es. Psicoanalisi delle mutazioni, il nuovo libro firmato da Chiara Buoncristiani e Tommaso Romani, entrambi psicoanalisti e filosofi.
Il saggio, che si muove a metà tra riflessione clinica e indagine teorica, parte da una constatazione semplice quanto destabilizzante: il concetto freudiano di Es non può più essere pensato solo come un serbatoio pulsionale da controllare o normalizzare. Nell’epoca delle soggettività queer, dei corpi in transizione, delle identità ibride e precarie, delle contaminazioni tra umano e macchina, l’Es diventa un luogo di emersione di forme di vita che sfuggono a ogni griglia rigida.
Il testo si presenta come una raccolta di scritture collettive, volutamente frammentarie e porose, lontane anni luce dalle certezze sistematiche della teoria classica. Insieme a Freud, emergono i riferimenti a Laplanche, Winnicott, Deleuze e Guattari, Preciado, ma anche incursioni nella critica postumana, nei gender studies e nell’antropologia delle trasformazioni contemporanee.
Più che proporre nuove etichette o modelli alternativi, gli autori invitano a rimettere in discussione il campo stesso della psicoanalisi, accettando il rischio del mutamento e lo spaesamento che ne deriva. Un invito che non piacerà ai nostalgici dell’ordine perduto, ma che intercetta una domanda reale: come si fa oggi clinica del desiderio, del corpo e del linguaggio, senza ignorare le mutazioni in corso?