AGI – La Transilvania, terra dei vampiri, è una regione che nella storia fu contesa da Ungheria e Romania. E tra le rivalità che oppongono le due nazioni vi è anche quella sull’aver dato origine a questo mito. Da una parte gli ungheresi considerano uno di loro Vlad l’impalatore, il voivoda di Valacchia che ispirò il personaggio letterario di Dracula. Dall’altra i romeni cercano di mettere il cappello su Erzsebet Bathory, la sadica principessa magiara che amava bagnarsi nel sangue delle vergini per restare giovane in eterno. In questa secolare disputa si infila però un terzo incomodo: la Serbia. La città di Kisiljevo, al confine con la Valacchia rumena, sostiene infatti di essere il luogo dove, 300 anni fa, un vampiro fu avvistato la prima volta.
Per seguire le tracce del presunto “succhiasangue zero”, bisogna esplorare un piccolo cimitero situato tra tre campi di grano e un lago, circa 100 chilometri a Est di Belgrado. La leggenda narra che fu lì, all’inizio dell’estate del 1725, che gli abitanti del villaggio dissotterrarono il corpo di Peter Blagojevic, sospettato di risorgere dalla tomba di notte per uccidere innocenti. “Era un giorno di giugno o luglio. Chiamarono un prete e aprirono la tomba”, ha raccontato a France Presse Mirko Bogicevic, la cui famiglia vive a Kisiljevo da undici generazioni. “Trovarono un corpo completamente intatto”, ha proseguito l’ex sindaco della città, biografo non ufficiale di Blagojevic, “quando gli conficcarono un paletto di biancospino nel cuore, sangue fresco cominciò a scorrere dalla bocca e dalle orecchie. Tutti lì capirono che non era uno scherzo”.
“Probabilmente si trattava un uomo comune, abbastanza fortunato – o sfortunato – da diventare un vampiro. Tutto ciò che sappiamo di lui è che proveniva da Kisiljevo e il suo nome compare in documenti risalenti al 1700 circa”, ha continuato Blagojevic, mostrando una copia del Wienerisches Diarium del 21 luglio 1725, la gazzetta ufficiale del tribunale viennese. L’articolo segna l’inizio del mito del vampiro di Kisiljevo.
In base ai resoconti di medici e militari austriaci, la storia potrebbe essere nata da un errore di traduzione, afferma Clemens Ruthner, direttore del Centro di Studi Europei del Trinity College di Dublino. “Esiste un’antica parola bulgara, Upior, che significa ‘persona cattiva’. A mio parere, gli abitanti del villaggio lo borbottarono e i medici lo interpretarono male, scrivendo Upyr, “vampiro”, nel loro referto”, spiega l’accademico.
Della storia di Blagojevic si era nel tempo persa memoria e il luogo della sua sepoltura era stato dimenticato, chissà se per negligenza o superstizione. Il sepolcro è stato in seguito ritrovato dagli abitanti di Kisiljevo, convinti che avrebbe potuto diventare una straordinaria attrazione per i visitatori. “Il potenziale è immenso”, afferma Dajana Stojanović, direttrice dell’ufficio turistico della cittadina, “ci sono molti miti e leggende legati alla nostra regione. E non mi riferisco solo alla storia di Petar Blagojevic, ma anche alla magia valacca. Ogni villaggio ha le sue tradizioni”.
“Penso che ci siano cose che non si possono spiegare”, sostiene da parte sua Bogicevic, “le nostre anime non sono solo dentro di noi. E se crediamo nella vita dopo la morte, in Gesù, perché non dovremmo credere a tutto questo?”. Quindi Petar era davvero un vampiro? “Il vampirismo, come la stregoneria, sono modelli molto comuni per spiegare ciò che non possiamo spiegare. Soprattutto fenomeni collettivi come le epidemie”, afferma Ruthner, che ha menzionato la teoria secondo cui un’epidemia di antrace in Serbia all’inizio del XVIII secolo sarebbe stata responsabile delle morti attribuite a Blagojevic. “La narrazione del vampirismo è un pensiero magico. Invece di presumere una causa sconosciuta, come i batteri, si trova un colpevole: una persona malvagia muore e porta con sé altri nella tomba”, conclude il professore. Sarà. Intanto, per sicurezza, i villici di Kisiljevo conservano sempre nelle loro case bottiglie di Rakia, la celebre acquavite dei Balcani, infusa con una generosa dose di aglio.