AGI – Ci sono delle immagini destinate ad entrare nell’immaginario collettivo dell’umanità. Le tutte arancioni indossate dai prigionieri in ginocchio costretti a guardare a terra, senza possibilità di movimento, spesso incappucciato o incatenati, riprese in foto scattate attraverso il filo spinato che sovrasta le reti di recinzione sono alcune di queste. Erano i primi anni 2000, il mondo era ancora sconvolto dagli attacchi alle Torri Gemellle di New York e le ansie e le paure del mondo occidentale erano legate alla minaccia del terrorismo. Eppure oggi si torna a parlare di Guantanamo. E non per un gruppo di pericolosissimi e spietati terroristi, ma per 9mila immigrati irregolari nel territorio americano.
La notizia di centinaia di immigrati irregolare (tra cui a quanto pare anche italiani) deportati nel Centro di detenzione di Guantanamo sta infatti facendo il giro del mondo. Ma cos’è davvero Guantanamo? Dove si trova e cosa accade all’interno delle reti di filo spinato che delimitano la struttura di massima sicurezza.
Dove si trova?
Il nome deriva dall’omonima baia, un’insenatura di 116 km² situata nella provincia di Guantanamo, nella punta sud-est dell’isola di Cuba, a pochi chilometri dai paradisi incontaminati frequentati ogni anno da migliaia di turisti. Li si trova una base navale statunitense costruita nel 1903 e il relativo campo di prigionia, composto da due campi: il Camp Delta (che include il “Camp Echo”) e il Camp Iguana. Il Camp X-Ray (che aveva ispirato l’omonimo film nel 2014) è stato chiuso il 29 aprile 2002.
Quando nasce? E perché?
La fase embrionale che vide poi la nascita del campo di prigionia prende le mosse all’inizio del secolo scorso, nel 1901 quando venne stipulato l’Emendamento Platt, una risoluzione congiunta emanata dal Congresso degli Stati Uniti avente l’obiettivo di stabilire le condizioni per il ritiro delle truppe statunitensi alla fine della guerra ispano-americana, che sancì l’indipendenza di Cuba dalla Spagna. Qui si precisa anche la possibilità concessa agli Stati Uniti di creare fino a quattro basi navali sull’isola, la prima delle quali fu la prigione di Guantánamo Bay. Ma la struttura diventa quello che oggi conosciamo in tempi molto più recenti quando l’11 gennaio 2002, il governo degli Stati Uniti d’America, all’epoca presieduto da George W. Bush, ha aperto un nuovo campo di prigionia all’interno della base, finalizzandolo alla detenzione di prigionieri catturati in Afghanistan e in Pakistan, anche tramite “extraordinary rendition” (una procedura extra-giudiziale che consiste nella consegna di presunti terroristi a Paesi amici del governo statunitense, che provvedono al loro interrogatorio e alla detenzione).
Le condizioni detentive e il “buco nero” dei diritti umani
Con l’apertura dell’area riservata ai terroristi di matrice islamica legati a gruppi come l’Isis o Al Qaeda Guantanamo diventa presto oggetto di denunce da parte delle Nazioni Unite per violazione dei diritti umani, si trasforma presto nel simbolo di un vero e proprio buco nero dei diritti umani di cui (almeno all’inizio fino al 2010) si sapeva poco, ma dove accadeva molto. Amnesty International in un rapporto del 2006 scrive che i “tribunali di revisione dello status di combattente (CSRT) istituiti dal governo nel 2004, hanno reso noto, nel marzo 2004, che il 93% dei 554 detenuti esaminati erano da considerarsi a tutti gli effetti “combattenti nemici”. I detenuti non avevano un rappresentante legale e molti di loro hanno rinunciato a partecipare alle udienze dei CSRT, che potevano avvalersi di prove segrete e di testimonianze estorte sotto tortura“. In quel periodo diversi detenuti hanno denunciato di essere stati vittime di aggressioni fisiche e verbali e venivano alimentati a forza: alcuni hanno riportato lesioni causate dall’inserimento brutale di cannule e tubi nel naso. Il governo ha negato qualsiasi maltrattamento.
Film e inchieste giornalistiche
Lo stato detenzione, le condizioni di vita a cui erano costretti i prigionieri, la vioolazione dei diritti umani così come le pratiche usate negli interrogatori (dal waterboarding, una sorta di annegamento controllato, alla privazione del sonno) sono state oggetto di inchieste giornalistiche, libri e film. Il film “The Report” (2019) racconta il lavoro dello staff della senatrice Dianne Feinstein, che per anni ha raccolto documenti e prove dell’uso sistematico della tortura da parte della Cia, così come il libro “Guantánamo Diary” (2015) da cui è stato poi tratto il film “The Mauritianian” (2021) racconta la storia di un prigioniero, poi rivelatosi innocente, che lì ha trascorso 14 anni tra torture e condizioni di vita disumane. E ancora, The Road to Guantanamo (2006), un film documentario diretto da Michael Winterbottom e Mat Whitecross che descrive la storia vera della detenzione di tre giovani inglesi catturati in Afghanistan nel 2001 e ritenuti, a torto, militanti di Al-Qaida. O infine “Taxi to the Dark Side“, film del 2007 diretto da Alex Gibney vincitore del Premio Oscar 2008 incentrato sulla storia di un tassista afghano, catturato, torturato durante un interrogatorio e morto dopo pochi giorni di prigionia.
Tentativi di chiusura
Nel dicembre 2008 iniziò a essere affrontato il problema della chiusura della prigione su iniziativa dell’allora presidente Barack Obama. A diciassette anni di distanza la struttura è ancora aperta anche a seguito del voto contrario del Senato degli Stati Uniti che ha respinto il piano di chiusura. In un discorso del 2018 anche l’allora presidente Donald Trump aveva annunciato l’abbandono del programma di progressiva chiusura della prigione ma nel 2024 il campo ospitava ancora 26 detenuti.